Quattro torri, con altrettanti cavi, tengono sospesa una testina di metallo. Fluttuando da un lato all’altro del quadrato, questa fa comparire figure geometriche nella sabbia. È la macchina computerizzata costruita da David Bynoe, per un progetto del Telus Spark Science Centre di Calgary, nello stato americano dell’Alberta. Costruendo quei mandala insostanziali, l’interessante invenzione contribuirà, per mesi ad anni, a suscitare nei visitatori un senso florido della curiosità. Cerchi concentrici, quadrati, modelli bidimensionali dell’atomo di Bohr, sequenze molteplici e complesse… L’atto creativo trasformerà quei granuli monocromatici in strumenti di bassorilievi tridimensionali, attraverso la semplice pressione ripetuta di un pulsante. Niente più rastrelli, per cortili giapponesi di eleganti templi Zen. Solo se qualche ragazzo, studiando questo meccanismo, sceglierà di prenderlo a modello, imboccando l’ardua strada dell’ingegneria e della programmazione, potremo dirci veramente soddisfatti. Tutti gli obiettivi sono virtualmente perseguibili. Persino l’Illuminazione.
La mente è alla continua ricerca delle immagini più affascinanti. E c’è un’imprescindibile dualismo, nella tendenza all’astrazione pura, che può portare ad utili fraintendimenti; proprio così, rinasce quest’oggi il giardino delle rocce o karesansui (acqua, piante, pietre) fra le più celebri metafore culturali dell’Estremo Oriente. Un tempo strumento di prestigio, l’ornamento per le vaste residenze dei guerrieri. Poi presunto ausilio alla meditazione, centro disadorno dei più sacri luoghi. E infine, inevitabilmente, gadget.
Trascinato ad Occidente assieme ad altre schegge prive di contesto, negli anni del benessere economico, quando le aziende inseguivano il mito dell’efficace industria giapponese, quello stile paesaggistico è spesso ricomparso negli uffici e sulle scrivanie, attraverso la sua accezione più ridotta: il bonseki. Magari con l’aggiunta di lucette a LED e una piccola fontana. Anche il Natale vuole la sua parte.
Si usa pensare in certi circoli, soprattutto a partire dalla metà degli anni ’80, che osservare un vassoietto coi granelli, disegnarci sopra e rastremarlo, possa servire a superare lo stress della vita da impiegato. Come largamente comprovato dai seguaci… Del Buddhismo? Possibile? A dire il vero, di monaci che meditano nel mezzo di un giardino, non se n’è mai visti. La pratica dello zazen prevede, piuttosto, che ci si metta innanzi a un muro, senza cercare distrazioni nei dettagli. Non è contemplazione, ma non-contemplazione. Non è conoscenza, ma non-conoscenza. Il superamento più assoluto del proprio senso ultimo dell’ego, lasciando che mente sussista libera nel vuoto.
Il giardino del tempio buddhista giapponese, che poteva o meno essere del tipo karesansui, faceva più che altro da contorno. Contribuiva nella creazione di un’immagine armoniosa e piuttosto scarna, utile a percepire l’ultramondo, ma non per questo meccanicamente necessaria. Ciascun colpo di rastrello diventava un fiume. Lo stile astratto, senza l’impiego di piante o vera acqua, proveniva dalla Cina: secondo l’antica tradizione, dalla sabbia dovevano spiccare delle rocce, sostituti simbolici delle montagne. Nel Taoismo, queste avrebbero raffigurato le case leggendarie di Saggi ed Immortali. E in Giappone… Nessuno lo sa. Semiologi e studiosi vi hanno individuato, di volta in volta, l’immagine subliminale di un albero, le isole dell’arcipelago, i cuccioli di una tigre mitologica… La verità, forse, ci sarà spiegata un giorno da un pietoso bodhisattva.
David ci racconta, nell’esauriente articolo che ha scritto sul suo blog, delle molte difficoltà incontrate prima di riuscire nell’impresa. Di come i suoi quattro motori, del tipo sincroelettrico a passo-passo, non potessero conoscere in ogni momento la posizione della testina metallica per la scrittura. E del modo in cui, per provvedere alla calibrazione, avesse inizialmente previsto l’inclusione, sopra i cavi, di alcuni magneti di neodimio. Soluzione che non poteva funzionare, perché le calamite, troppo potenti, si attaccavano fra loro.
Poi, d’improvviso, arrivò l’idea: di usare quattro interruttori, come quelli della luce, premuti per semplice contatto, nel momento del massimo riavvolgimento di ciascun cavo. Di lì, è “bastato” collegare un sistema informatico con Linux CNC (soluzione open source per simili macchinari) e scrivere i programmi di ciascuna figura. Così si procede nell’auto-accrescimento dello spirito, ma pure nell’ingegnerizzazione: una scintilla dopo l’altra. Altrimenti come potremmo spiegarci il successo de Lo Zen e l’arte della manutenzione della motocicletta?