Con luce fievole, l’architetto e l’archeologo si scorgono a malapena attraverso le buie sale di un labirinto verticale, testimonianza di aspettative trascurate. Così, studiando con occhio critico una delle più grandi metropoli presenti sul pianeta, è possibile individuare un filo conduttore che scorre attraverso le regioni della Storia, ininterrotto. Contro il cielo si stagliano gli stessi templi, mausolei e monumenti di epoche passate, riadattati per l’intercessione o le necessità d’avverse dinastie, nonostante l’erosione entropica degli elementi. E le stesse torri. Ci sono casi, tuttavia, in cui è stato necessario fare a meno di chi è venuto prima, lasciare vuote le sue possenti mura. Non si può recuperare ogni tipo di rovina, che sia d’altri tempi, oppure relativamente nuova, come questa….Sarà meglio incominciare dall’inizio. Che poi sarebbe anche la fine (di un’era).
Quattro secoli era durato, il regno di Ayutthaya, quello che gli occidentali chiamavano “il Siam”. L’erede più duraturo dell’epoca Angkoriana, fatta di templi e stupa colossali. Nel 1772, oramai, da sette anni era sotto assedio. 40.000 soldati, provenienti dal Myanmar, marciavano sulle sue terre, per la maggiore gloria del secondo impero del Konbaung. Tanto ferocemente combatterono, con tale spietatezza, che dell’antica capitale di quell’augusto impero, ahimé, non restò praticamente nulla… Bruciate le biblioteche, i tesori inestimabili e i palazzi del potere, tutto divenne cenere, tranne un’idea: che il popolo di Ayutthaya esisteva ancora, aveva la sua storia e manteneva il mito di un eroe, proveniente dalle vicine terre d’India. Rama. Anzi, pure meglio di questo, il futuro portatore del suo sacro nome. A fregiarsi di una simile onoreficenza sarebbe infatti stato, ben presto, Phraphutthayotfa Chulalok, l’amico personale e ministro dell’ultimo re di una dinastia, Taksin. E un buon generale, fu questo “erede” di un dio, aiutante del sovrano nell’era del tramonto. Nonché il più saggio degli amministratori, che sapeva come, persino in assenza dell’inarrivabile Trimurti, il mantenimento di uno stato richiedesse un’adeguata dose di quegli altri gesti fondamentali all’Induismo: distruggere, costruire. Perché, del resto, una volta incoronato, per analogia sarebbe si sarebbe richiamato alla settima controparte terrena di Vishnu, conservatore dell’intero Universo. La mano dell’uomo può bastare a preservar se stessa? Qualche volta, forse.
Fatto sta che nel giro di una decina d’anni (1782), da un piccolo villaggio sul fiume Chao Phraya, il cui corso si trovava a un centinaio di chilometri dalla precedente capitale, rinacque il seggio del potere dell’impero decaduto, in prossimità di un delta di primaria importanza commerciale, soprattutto visto l’arrivo in massa dei mercanti dall’Europa. Quell’agglomerato si chiamò, dapprima, Thonburi, e venne governato da Taksin, come re in esilio. Però di fronte a questa città, nel frattempo, ne cresceva un’altra, tutto intorno a colui che l’avrebbe resa veramente grande: il nostro Rama I, di Bangkok. C’era un ansa nel sinuoso fiume, con la forma di una U.
E dopo altri 400 anni, c’è ancora. Proprio lì, adesso, sorge il grande quartiere di Sathorn, gemma economica e residenziale dell’odierna nazione thailandese, frutto di ricchezze accumulate nei secoli e validi investimenti commerciali. Negli anni ’90 dello scorso secolo, prima dello scoppio della bolla finanziaria, pareva stesse per trasformarsi nell’ennesima Manhattan del Sud-Est Asiatico, con i suoi duecento e più svettanti grattacieli. Chissà, quel sogno potrebbe ancora realizzarsi. Ma quando succederà, inevitabilmente, sarà sotto l’ombra di questo vetusto gigante, vuoto dal 1997.
Il Sathorn Unique è il più alto grattacelo abbandonato al mondo. Potrebbe sembrare, ad un primo sguardo, lo scenario post-apocalittico di un film. I suoi 49 piani, sormontati da un colonnato pseudo-romanico simile ad un tempio e con ampie balconate curvilinee, può vantare una vista straordinaria sull’intero centro cittadino di Bangkok. Al suo interno abitano qualche abusivo, molti uccelli, diversi branchi di cani randagi e, almeno secondo le dicerie di zona, una quantità non meglio definita di spiriti maligni, sfuggiti dai cancelli stessi del regno dei defunti. La gente ama spaventarsi.
Non c’è da sorprendersi, quindi, di come questo luogo sia diventato una meta turistica d’elezione. Gli stranieri più spregiudicati, scavalcando basse recinzioni, vi entrano di soppiatto, illegalmente. Si arrampicano per scale mobili dismesse, superano le sale piene di detriti, barcamenandosi fra stretti passaggi oltre strapiombi senza fondo. È piuttosto buio, là dentro, racconta Sabrina Iovino di JustoneWayTicket, e pericoloso. Tomb Raider dei nostri tempi! Così è, del resto, l’archeologo degli ambienti urbani: non con frusta e cappello, ma neanche dotato di enciclopedia e paletta, più simile all’anti-eroe di un videogame. E se conosce un poco di parkour, tanto meglio per lui e noi (che potremo, attraverso il suo lavoro, capire, conoscere di più).
Al piano terra, nella lobby, ci racconta nel frattempo l’editore di AbandonedJourney.com, c’è un tempietto accuratamente messo insieme con gli scarti, dedicato a un imprecisato dio. I primi tre piani del palazzo, che una volta completo avrebbe contenuto 659 appartamenti e 54 unità commerciali, sono abbastanza rifiniti, con pareti dipinte, pavimenti in legno e vasche da bagno putrescenti. Qualcuno non va oltre, accontentandosi di poter dire: “Si, ci sono stato”. Perché di lì in poi, praticamente, è l’inferno (all’incontrario). Scale escheriane che sfociano nel nulla, cavernosi e vuoti ambienti senza corrimano, edera pervasiva, magari pure velenosa… Nel frattempo decine di graffiti inquietanti, in una Babele di linguaggi, fanno da spietato contrappunto. “Don’t Jump!” Ok, ti prendiamo in parola, sconosciuto avventuriero. Roba da Dark Souls. L’attuale proprietario dell’edificio è il figlio di colui che l’aveva costruito 20 anni fà, il Dr. Rangsan. Vorrebbe liberarsene per una cifra ragionevole: chiede appena 60 milioni di dollari. Ci riuscirà? Speriamo. Finalmente quel palazzo riceverebbe la sua cupolona trasparente, come da progetto.
Di fronte all’eco-mostro c’è un antico tempio buddhista, il più famoso del quartiere. Si chiama Wat Yan Nawa, ed è riconoscibile per una particolarità interessante: ha la forma di una nave. Nello specifico, la sua pagoda sembra proprio una giunca proveniente dal remoto settentrione, di quelle che un tempo percorrevano a centinaia, migliaia, il fiume di Chao Phraya. Siamo all’epoca di Rama III ( 1787 – 1851), erede diretto del primo re di Bangkok.
Gli odiati nemici del Konbaung, conquistatori di Ayutthaya, oramai si erano accaparrati pure Manipur, Arakan, Assam e il regno di Pegu. Nonostante quei successi, la loro ascesa fu frenata da un più grande drago: la Cina degli imperatori Qing. Finita una guerra, ne cominciò subito un’altra. Nessuna giunca, carica di merci, navigava più fino a Bangkok e affinché gli abitanti non ne dimenticassero l’aspetto, il re decretò che fosse costruito quel tempio fuori dal comune, nella loro esatta foggia. Le usanze tradizionali thailandesi prevedono che gli spiriti affamati dei defunti, incapaci di reincarnarsi, ricevano un’abitazione dai viventi. Così, piuttosto che vagare senza meta per il mondo, potranno meditare, fino alla prossima fase dell’esistenza. Anche questa è Bangkok, un luogo che dovrebbe riconoscersi in questa lunga dicitura:
«Città degli angeli, la grande città, la città della gioia eterna, la città impenetrabile del dio Indra, la magnifica capitale del mondo dotata di gemme preziose, la città felice, che abbonda nel colossale Palazzo Reale, il quale è simile alla casa divina dove regnano gli dei reincarnati, una città benedetta da Indra e costruita per Vishnukam».
I grandi templi sono un omaggio a chi è venuto prima. E a ciò potrebbe assolvere pure questa sconquassata torre, oltre che ad appenderci dei cartelloni con le pubblicità. Nel frattempo, dicono, qualcuno ha visto, al terzo piano, un volto significativo. Quello del re Rama, dentro a un quadretto fuori posto, abbandonato. Il vento ulula fra i buchi nel cemento, come farebbero gli spettri dei guerrieri. Turisti? Dove siete?