Ultima frontiera delle botte, questi due brutali ninja nel deserto, magistralmente interpretati da Johnny Yang e Tony Sre, al soldo di un digital director d’eccezione, Mike Diva. Due minuti di pura adrenalina, sulle note disarmoniche del più inumano dubstep. E a guardarli un poco meglio, i mostri occulti paiono parecchio familiari: Scorpion, vendicatore non-morto del suo clan, VS. Noob, tenebra sfuggente, con un nome dal pericoloso doppio senso. Disse Confucio: “He who calls for a noob, is often the noob himself!” E pure in questo specifico contesto, tutto sommato, quel saggio ci aveva visto giusto. Ai tempi, quando il misterioso guerriero delle ombre fece il suo ingresso nell’arena fulgida di Mortal Kombat 2 (1993) trionfo della digitalizzazione combattente, non c’era il gioco online, mancava la netiquette e si andava in sala giochi col grugno del duro marinaio, pronti a scambiarsi spaventevoli minuzie verbali con i propri avversari d’occasione: “Sei una schiappa! Come, non lo sai che la fatality di Sub-Zero si esegue con Avanti – Avanti – Basso – Calcio Alto (Dalla distanza esatta di un calcio) e non Avanti – Dietro – Basso – Pugno Basso (Da distanza ravvicinata)? Che ci sei venuto fare? Lascia il passo, ritirati e medita su ciò che hai fatto!” Gradualmente, giustamente, noi gamer siamo tutti diventati molto più attenti (alle apparenze) del buon competere civile. O per meglio dire, più sottili, perché indubbiamente via l’etere, senza metterci la faccia, si riesce ad essere altrettanto crudeli. O anche di più. Tanto che nell’era dei deathmatch, dei MOBA e del matchmaking, basta una parola di quattro lettere per scatenare l’odio collettivo, che rimbalza fino a provocare l’improvviso sfaldamento, pure dei gruppi più affiatati. La pronunzia, anzi scrive su tastiera, lo stregone del party ruolistico alla World of Warcraft, oppure il cecchino trincerato dietro tre saldi strati di sacchetti antriproiettile: “Siete tutti dei N-O-O-B”. Noob: contrazione di newbie, novellino. L’eterno principiante. Non importa che tu abbia 350 ore di volo, 1.000 abbattimenti all’attivo nella tua carriera di Battlefield 3, il maligno co-pilota potrà pur sempre, prima o poi, darti del Noob. E allora, apriti cielo, perché la situazione sta per precipitare. Quindi, tornando a quell’omonimo di Mortal Kombat…Il nome completo del ninja, Noob Saibot, dal punto di vista etimologico è molto più antico. E dunque, vanta una diversa provenienza: sarebbe l’inversione di Boon & Tobias, i nomi dei due creatori della serie. Miglior luogo per nascondersi, non potevano trovarlo!
20 anni fa, come del resto ancora oggi, c’era un mito ludico che affascinava, agghiacciando al tempo stesso: il raggiungimento del fotorealismo interattivo. Dopo generazioni di personaggi disegnati con pixel lugubri e ingombranti, talmente approssimativi da rasentare l’astrattismo, stava iniziando l’epoca d’oro della grafica rasterizzata, costruita intorno alle limitazioni di un hardware povero, ma sufficiente. Street Fighter II (1991), eterna pietra di paragone creata dalla giapponese Capcom, ci aveva dimostrato cosa fosse possibile ottenere, riducendo il numero di personaggi su schermo a solamente due, enormi e iper-dettagliati combattenti. Il guanto di sfida era sul tavolo. Così, furono molti a cercare di raccoglierlo. Stava nascendo un genere, quello del “picchiaduro 1 contro 1” fatto di mosse speciali, strategie pseudo-scacchistiche e tornei da cardiopalma, fra maestri del joystick di Shaolin. E tutti si chiedevano chi potesse spodestare quel campione, il sacro fondatore della scuola del pugno d’energia, l’hadouken che bruciò tutto, cambiando tutti. E kaspita, c’era soltanto un modo. Perché i protagonisti di quel gioco erano ancora disegnati a mano, come i personaggi di un cartoon. Sembravano veri, ma solo fino a un certo punto.
In questo scenario si fece avanti l’americana Midway Games, con il suo primo Mortal Kombat e un’idea speciale, perfetta all’occorrenza. Per la prima volta (o seconda, a voler contare un timido tentativo non riuscito) attori in carne ed ossa venivano inseriti su fondali di fantasia, subordinandoli al capriccio di noi basìti giocatori. La differenza che questi drudi fecero fu enorme, per lo meno dal punto di vista psicologico. Naturalmente, non tutto era perfetto. Le limitazioni di memoria erano stringenti, la risoluzione bassa e lo stesso personaggio ricompariva, con piccole variazioni, più di una sola volta.
Così nacque, a ben pensarci, la stretta relazione tra Mortal Kombat e i ninja colorati. Sub-Zero, con il suo ghiaccio, Scorpion con l’arpione e Reptile dal fetido veleno. Quasi identici, dal punto di vista visivo, ma completamente diversi (meno male!) da giocare. E poi lui, Noob Saibot. Il più riciclato di tutti. Avversario segreto del secondo episodio, creato a partire dalle animazioni dei suoi molti fratelli, ridotto a una semplice sagoma d’ombra, molto meno esosa in termini di preziosissime risorse. Significativo è scegliere, come autori, di dare il proprio nome a questo tipo qui, piuttosto che al boss finale o all’eventuale eroe del videogioco. Come Quentin Tarantino, che compare spesso nel momento più prosaico, sgangherato dei propri egregi film, Ed Boon e John Tobias sembravano quasi dire: “Conosciamo le meccaniche di questo media, inclusi certi limiti, però sappiamo di aver fatto bene. Divertitevi!” Come il succo di pomodoro, iconico effetto sanguinoso della serie, di acqua ne è passata molta, sotto i ponti. Anni ed anni. Così, si è giunti a questo: che un gruppo di ragazzi, telecamera alla mano, possa replicare visivamente quel capolavoro d’altri tempi, migliorarlo, persino. La tecnologia è una cosa davvero straordinaria. A patto di non essere dei Noob.