Nascita di un planetario meccanico

Orrery

“Piccolo Eric, tu che voto ti daresti?” Pur essere dei test di quinta elementare, i progetti di scienze della scuola Carrotilon/Diomedes, vincitrice del premio Best Teachers of 1967, richiedevano comunque un certo standard realizzativo. “Se…Sei?” L’arcigna maestra fece un smorfia, riportando una mano verso l’aguzzo mento, con fare meditabondo. “A partire dall’anno scorso abbiamo avuto 10 vulcani, 15 rane sezionate, 25 limoni elettrici…Oooh, le Idi di Marzo dei Grandi Uomini, oh, quanto…” La sua voce irata, gradualmente, si fece un velato bisbiglio. Eric, intento a far timidamente girare la manovella, diventò improvvisamente assorto. “…E poi! Questo planetario non ha nemmeno la simulazione dei crepuscoli, la visualizzazione dei punti cardinali! Mancano le stelle occidue delle diverse latitudini! E l’essenziale calcolo precessivo degli equinozi, ebbene? Dove diamine sarebbe?” Eric, facendo l’accenno di un ghigno un po’ tirato, prese tra il pollice e l’indice una piccola sfera del meccanismo “Ve..Venere è fatto di ciocc-“. I rappresentanti d’istituto, tenuti per tradizione a testimoniare l’evento, trasalirono impercettibilmente. Mrs. Nichols, alzando la voce d’un tratto disse “Non vaa ben-EE?! Pretendo la definizione della sfera di Ipparco, un’adeguata resa del disco armillare! Plutone non è nemmeno in scala e poi manca…Il secondo pianeta?” Eric, farfugliando con la bocca piena, continuò la sua esposizione: “-olata! E la Terra invece…” Calò il silenzio. I compagni di classe osservavano deliziati, i genitori tacquero perplessi. “…Pashta di man-dorle!” La Nichols, improvvisamente affetta da un tic all’occhio, pareva furiosa e sconvolta allo stesso tempo. Qualcuno, fra il pubblico, bisbigliava. La gente iniziò ad agitarsi. Eric, neanche finito di ciancicare l’azzurra culla dell’umanità, già prendeva in mano l’enorme Saturno. La maestra tremava: “Ma…Ma, io?” Chompchompchomp. Eric: “Mar-zi-pan!” Nel buco nero della sua bocca spariva l’intero gigante gassoso, comprensivo di satelliti ed anello di zucchero filato. I compagni gridavano “Evviva!” I genitori battevano le mani, i rappresentanti del consiglio d’istituto, esultanti, frugavano nella cassa delle coccarde. “Baicoli! Bavarese! Bianchitus! Bounet!” Tutti mangiavano e ridevano, come ridevano… Torta della nonna! Crostata di mele! “Primo posto! Primo posto!” La tirannica Nichols, riconoscendo la tardiva sconfitta, corse in lacrime fuori dall’aula. E da quel giorno la fiera di scienze della Carrotilon/Diomedes, vincitrice del premio Best Teachers of 1967, diventò un gradito giorno di festa.

Se pure viviamo nell’epoca delle immagini, non per questo dobbiamo perdere la nostra capacità manuale. Tra i più caratteristici meriti della scuola americana, come ampiamente dimostrato in film e sitcom pluri-generazionali, c’è l’effettiva messa in pratica del metodo sperimentale. I bambini e i ragazzi, posti di fronte a problemi scientifici, vengono continuamente stimolati con dimostrazioni effettive, invitati a costruire plastici e modellini. Chiamiamola, se vogliamo, l’influenza del metodo Montessori, da sempre più sentita oltreoceano che qui da noi, nonostante la nazionalità di colei che seppe inventarlo. E tra le cose che sarebbero piaciute alla pedagogista di Chiaravalle, indubbiamente c’è la costruzione del planetario, annualmente affrontata dai bimbi americani, coi loro genitori, mediante accurato dispendio di palloni e stampelle, messi assieme nel tentativo, niente affatto facile, di ricostruire l’intero sistema solare.
Così nasce l’idea di Zeamon, secondo quanto riportato presso il suo sito web: prendersi una rivincita sui suoi professori d’infanzia, creando il più perfetto modello possibile dei corpi astrali a noi più vicini. Un vero e proprio meccanismo di Antikythera, però preciso, ineccepibile, come previsto dai crismi del mondo moderno. Simili macchine, pensate per l’osservazione delle stelle, mutano molto da un contesto storico all’altro. Tra il 2400 e il 2200, le tribù preistoriche della Britannia misero in piedi Stonehenge, per meglio prevedere le temutissime eclissi solari. Nello stesso identico periodo la cività egiziana edificava le sue maestose piramidi, come invito agli dei primordiali del cosmo. Poi vennero gli astrolabi, decisamente più portatili, i pratici ausili alla navigazione degli Arabi e dei Fenici. E già qui, numeri presero il posto dei modellini e delle sferette ruotanti. Oggi usiamo telefoni cellulari, proiettori e software per il computer. Ma dov’è la magia, in questo? Nella torre della strega, nel laboratorio dell’alchimista dovrà sempre esserci un planetario. Come questo, l’opera metallurgica di Zeamon.

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