Prendi un macaco, vestilo bene. Portalo in giro sulla neve. Dove finisce la scimmia, incomincia la persona. E se lei indossa cappotto con cappuccio, calzoni e sciarpetta beh, allora quell’esile confine sparisce nel nulla: niente più capo ne coda, da cui riconoscere scimmia o persona. “Sembra un bambino!” Così avranno detto i presenti, coinvolti accidentalmente in questa infrequente situazione: Svetlana Akishina, che porta in strada l’amato animale domestico, agghindato per sopportare il gelido clima del suo paese, la Russia. Perché se lo incontri fuori da un ragionevole contesto, Ivan, questo grazioso esemplare di macaca mulatta, colpisce per il suo modo di muoversi e le sue proporzioni, chiaramente non umane, però per il resto, ti vien da pensare: “Non sfigurerebbe dentro a una carrozzina!” Dalle tre splendide ruote rosse, zigrinate. Finché non si volta, guardandoti coi suoi grandi occhi marroni e scoprendo i denti silenzioso, assumendo la tipica espressione di un macaco, ogni volta che incontra un suo simile più imponente. “…” L’effetto di una tale esperienza, si capisce, risulta piuttosto singolare. Uno shock passeggero, seguito dall’immediato slancio empatico di un sentimento d’affetto, sarebbe il minimo garantito, il sine-qua-non.
Le scimmie come questa cancellano la distanza fra noi e tutte le altre creature della Terra. Che si scelga di accettare in qualche misura l’evidenza dell’evoluzione, piuttosto che il creazionismo dogmatico di tipica matrice nordamericana, non c’è dubbio su almeno un fattore. Qui, c’è un anello. Il punto intermedio tra uomo, inteso come essere bipede, craniodotato, relativamente poco irsuto e gli altri mammiferi, bipedi, quadrupedi, selvatici o addomesticati. Nel momento in cui, diverse decine di migliaia di anni fa, le civiltà preistoriche si accaparrarono le simpatie del lupo, ciò avvenne grazie ad elementi di contatto, piuttosto che di separazione. Siamo tutti animali sociali, bisognosi di cibo e di affetto. Tutti uguali (salvo minuscole distinzioni). Qualcuno leggermente più degli altri. Per quello che ha, piuttosto che in ciò che davvero è: strumenti, case, vestiti. Noi furbissimi uomini moderni, trasportati alla preistoria, difficilmente potremmo ricreare tutto da zero. Prendi un macaco, vestilo bene. Non imparerà a scrivere romanzi, però sa contare. Fino allo zero, il giusto e l’essenziale.
I commenti ai video di Svetlana, che a giudicare dal suo canale di YouTube pare essere una grande amante degli animali, contengono articolati pareri su cosa sia giusto far fare a una scimmia. Centinaia di persone, che quotidianamente accettano cappotti per cani, gabbie per uccelli, lettiere per gatti e altre analoghe amenità, si fanno trionfanti difensori della vita selvaggia, descrivendo quanto sia inappropriato portare le scimmie sulla neve, vestendole come persone.
In effetti, c’è da dirlo, il macaco Ivan, nel breve minuto del video parrebbe alquanto infastidito. La sua goffaggine, così buffa, probabilmente nasce dal disagio di chi non riesce ad elaborare una situazione tanto innaturale. Però, secondo me, conta soprattutto il contesto. Chi può realmente dire, da questa limitata testimonianza, come nasca la strana iniziativa, oggetto di tante sentite critiche? Forse si tratta di un breve esperimento, di un’unica volta. Oppure Ivan, dopo i primi momenti di spiazzamento, si è trovato meglio e si è pure messo a giocare. Bisognerebbe chiedere alla padrona. Non sarebbe lui, il primo macaco invernale al mondo.
In Hokkaido, l’isola settentrionale del Giappone, ce n’è una celebre specie, dalla caratteristica faccia rossa, che vive tra il gelo, scaldandosi seraficamente nelle sorgenti termali naturali. E che in qualche modo, a quei luoghi ameni dovrà pure arrivarci… Si presume, camminando nella neve. Certo: il pelo di Ivan, ideale per le regioni meridionali dell’Asia, sarà pure meno folto e isolante. Ed è a questo, in fondo, servono le giacche.
Quindi, che scena… Così nascono le leggende. Tradizionali: di nani, piccoli elfi, microscopici troll ballonzolanti. E internettiane, come quella della scimmia dell’IKEA di Toronto, trionfo memetico risalente alla metà del marzo scorso. Basato sulla foto di un altro macaco, anche lui graziosamente imbacuccato, che si era perso fra credenze, sedie e cucine modulari. Proprio come succede a noi umani, fra cotante labirintiche mura.