C’è un argomentazione fondamentale a sostegno dei videogiochi simulativi che è andata perduta negli anni. Con il progressivo miglioramento delle potenzialità grafiche e nell’interesse di creare veri e propri film interattivi, si è scelto di rappresentare situazioni dal massimo impatto visivo e concettuale: ninja imbattibili in mischie colossali, soldati coraggiosi allo sbarco in Normandia, campi di battaglia multigiocatore in cui passare nel giro di pochi minuti tra i sedili di comando di carri armati, elicotteri e blindati antiaerei. Ma in fin dei conti il meccanismo interattivo, che costituisce lo strumento principale di questo media, deve comunque passare per un’interfaccia limitata e limitante: non importa che ci si trovi in poltrona con un semplice joypad, alla scrivania con tastiera e mouse o in piedi di fronte a un Kinect, le nostre gesta saranno comunque assai lontane da quelle dell’avatar che interpretiamo. La pressione del tasto A si traduce in un salto, il click del pulsante destro nell’avvicinare agli occhi il mirino di un fucile, agitare le braccia di fronte a un sensore sostituisce precisi e letali colpi di spada. Tutto il contrario avviene se si sta giocando un efficace simulatore di qualche mezzo o veicolo. Pilotare, in fondo, significa utilizzare un sistema di controllo e rispetto ai videogiochi cambiano solo portata ed effetti di quest’ultimo. Basta ad esempio usare un volante di alta qualità per fare un’esperienza di guida assai più simile alle reali gare di Formula 1 di quanto sarà mai possibile rivivere battaglie storiche o giocare a calcio, basket o hockey sullo schermo di una semplice TV.
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La nuova canzone degli zombie: quanti modi di morire!
Chiunque abbia assistito a più di qualche puntata della serie tv americana The Walking Dead avrà notato come l’istinto di sopravvivenza dei suoi molti protagonisti, persino quelli più competenti e abili nell’uso delle armi, sia talvolta ben poco o per nulla sviluppato. Una massa di cadaveri affamati si avvicina nel vicolo? Sarà meglio uscire a controllare. Di vedetta sopra il camper con l’orda che ci da la caccia? Scusate, mi ero un attimo addormentato… Seguendo un copione che ricorda quasi quello di un reality show, gli autori del programma si sono divertiti ad eliminare un personaggio dopo l’altro nelle situazioni più variegate e facilmente evitabili, riuscendo persino a creare una nuova antonomasia memetica della sbadatezza nel turbato e distratto giovane Carl Grimes.
Ecco come evitare lo scherzo della pipa
Potrebbe capitare al bancone dei pub inglesi più eleganti, nelle sale ornate di circoli esclusivi e persino sui prati verdeggianti di elitari campi da golf. Sempre tra compagnie di un certo livello perchè la pipa, è noto, rappresenta un segno di distinzione. Un gruppo di gentiluomini si raduna con zelo entusiasta attorno all’ospite inatteso: questi ha infatti riportato dai suoi viaggi un misterioso artefatto, dall’aspetto innocuo e piuttosto interessante. Talvolta sarà lo strumento usato dagli operai gallesi per misurare l’idoneità polmonare di un aspirante minatore, qualche altra vi diranno che veniva usata dai capi degli antichi clan di montagna o persino che provenga dall’eredità preziosa di un antenato esploratore. “Tim, ora ti mostro come funziona.” Dice il proprietario, seguendo un copione ben preciso. Pfffffffff, ecco l’obiettivo è far girare queste piccole pale. Si toglie la pipa dalla bocca e la passa all’ignara vittima. “Ora prova tu!” Ma le conseguenze saranno inaspettate. Ogni anno lo scherzo della pipa miete innumerevoli vittime. Solo chi lo conosce riesce a salvarsi: l’importante è non soffiare, ma aspirare.
Il poema inedito di Tolkien che concluderà a maggio il Ciclo arturiano
Così come i film di Peter Jackson continueranno il loro movimento a ritroso attraverso la linea temporale del Signore degli Anelli, la pubblicazione delle opere di J.R.R. Tolkien avviene ormai da generazioni con un’ordine invertito rispetto a quando furono scritte. Linguista e accademico oltre che scrittore e poeta, massimo specialista mondiale su Beowulf e filologo prima ancora di diventare inventore d’idiomi e mondi fantastici, il celebre autore inglese fu anche un importante studioso del ricco e variegato corpus narrativo collegato al ciclo di Re Artù. E intorno a questo argomento, è noto ormai da tempo, egli scrisse anche un sofisticato poema epico, di oltre 200 pagine, dedicato alle vicende vissute dal sovrano verso la fine del suo regno. Di tale opera, intitolata The Fall of King Arthur (La caduta di Re Artù) lo scrittore fece menzione per l’ultima volta in una sua lettera del 1955, ma purtroppo la lasciò incompiuta al momento della morte. Ma d’improvviso, con un colpo di scena letterario degno del Nome della Rosa, non tutto appare più perduto: lo scorso ottobre infatti la casa editrice HarperCollins ha rivelato su Internet di aver ricevuto da Christopher Tolkien, figlio dell’autore, i manoscritti originali del poema e di stare lavorando con lui al fine di portarlo finalmente in libreria. Pochi giorni fa, con tempistica decisamente azzeccata, le due parti hanno infine deciso di rilasciare al grande pubblico i primi, affascinanti versi del libro.