Total War: si torna in Giappone

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Come scriveva nel 1913 lo scrittore H.G. Wells nel suo poco noto manuale Little Wars, il gioco della guerra ė adatto dai 12 ai 105 anni e per tutti coloro abbastanza intelligenti da saper preferire i libri e i passatempi per bambini. In quest’epoca i soldatini di piombo sono oggetti da collezione, generalmente osservati da lontano o lasciati a prendere polvere su qualche mensola, portando le nostre fantasie belliche a trovare materiali ben piú pratici e convenienti. Ancora piú che i marines in plastica verde scura della nostra infanzia, alle soglie del 2000 vengono schierate ogni giorno truppe di pixel e silicio, su campi di battaglia vettoriali texturizzati. La software house Creative Assembly, con i suoi videogame strategici della serie Total War, di tali creazioni ha fatto soprattutto un’arte. Abbiamo condotto insieme a loro la carica normanna ad Hastings, per poi guidare le legioni di Cesare in Gallia. Pochi anni dopo, sprofondando nelle gelide acque del lago Peipus, i cavalieri Teutonici hanno conosciuto la sconfitta ad opera dei nostri astuti generali. Pochi mesi fa, mentre l’esercito prussiano si stava ritirando da Ligny con Napoleone ad inseguirlo fino alla fatale Waterloo, mi tornava in mente come questo viaggio tra le epoche avesse avuto inizio, ovvero tra le battaglie dell’epocale Shogun – Total War. Il luogo ė Shitaragahara, nella regione di Mikawa, in Giappone.
É l’estate del 1576: Oda Nobunaga ed il suo fedele luogotenente Tokugawa Ieyasu si preparano ad infrangere l’assedio del nemico al castello di Nagashino. Ad affrontarli, in cima all’aspro promontorio, gli invincibili samurai a cavallo di Yamakata Masakage, ben riconoscibili per la temuta armatura vermiglia del clan Takeda. Ormai privi della guida del loro piú grande condottiero, la leggendaria Tigre di Kai, possono ancora contare su una reputazione in grado di sconvolgere e gettare nello scompiglio i piú forti e coraggiosi guerrieri. Ma per il potente Nobunaga oggi non combattono guerrieri di professione, bensí semplici popolani e contadini. Dietro le punte acuminate di una barricata in legno, coricati in posizione di fuoco secondo la tecnica occidentale, questi uomini privi di discendenza o celebri antenati sono stati armati dello strumento piú terribile della loro epoca: il micidiale moschetto di fabbricazione olandese. 1000 anni di tradizione samurai stanno per infrangersi contro qualche manciata di sfere di metallo e polvere nera. E qualche rapido colpo di mouse. Non sarebbe bello farlo un’altra volta? A quanto pare ne avremo l’opportunitá…

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Il guerriero di New York con l’armatura del futuro

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Il punto di partenza della software house tedesca Crytek non rispecchia in alcun modo il suo status di studio indipendente. Come provato dall’iter di numerosi sviluppatori emergenti, un team di sviluppo generalmente parte da un’idea innovativa o interessante, per poi realizzarla al meglio delle sue possibilità tecnologiche e finanziarie. Solo l’investimento di risorse finanziarie successivo, e discrezionale, da parte di una grande casa distributrice potrà fornire all’idea iniziale dei valori produttivi tali da fare presa su uno dei mercati tecnologici più ferocemente competitivi al mondo, quello dei videogiochi. L’acclamata Crytek, in effetti, fece l’esatto contrario.
Salita sul palcoscenico internazionale durante l’ECTS del 2000, con la demo tecnologica per schede NVIDIA denominata X-Isle, partiva già dal punto culminante di tale catena: il loro prodotto, destinato a concretizzarsi nel monumentale shooter per PC Far Cry, mostrava chiaramente un know-how ai livelli più alti del settore. In effetti, nonostante un budget relativamente ridotto,  il giovane prodigio ed attuale CEO della compagnia aveva misteriosamente creato dal nulla l’engine grafico per videogames più avanzato al mondo. Tale da fargli ottenere, sulla fiducia, un contratto milionario con la francese Ubisoft, e nel giro di pochi anni con il colosso americano Electronic Arts. Difficilmente Cevat Yerli, insieme ai suoi due fratelli Avni e Faruk, avrebbe immaginato che prima dei trent’anni avrebbe diretto un’azienda di quasi 300 capaci ed invidiati professionisti. Negli anni successivi, attraverso altre due produzioni, la Crytek ha dimostrato di saper padroneggiare a pieno l’inflazionato genere degli sparatutto per PC, fino al punto di riuscire a modificare sensibilmente le aspettative di un pubblico tra i più smaliziati e meno disposti a seguire campagne di marketing o altri buzz pubblicitari. Le aspettative per il loro nuovo progetto sono cresciute esponenzialmente, insieme alle riserve dei fan, quando si è saputo che si trattava di un gioco multi-formato, ovvero pensato per essere venduto al lancio anche su Playstation 3 ed X-Box 360.
Nel mezzo dell’affollata Times Square, su un titanico maxischermo, l’atteso Crysis 2 è stato infine mostrato al mondo, con l’ausilio di uno spettacolare trailer dal taglio decisamente cinematografico, seguito da un evento a porte chiuse dedicato alla stampa specializzata. Vediamo insieme di cosa si tratta.

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Within Halo’s Reach

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Sono passati quasi nove anni dal giorno in cui il primo anello cosmico dei Precursori venne distrutto ad opera del guerriero corazzato noto come Master Chief, sconfiggendo le orde aliene dei Covenant.
Il compimento dell’impresa, forse tra le più rilevanti nell’affermare il considerevole successo della prima console X-Box, non solo ha rappresentato un passo significativo per l’evoluzione del combattimento digitale nei videogiochi, ma ha fornito le basi per una saga multimediale lunga ed articolata, in grado di trascendere a più riprese le consuete aspettative di successo per una creazione immaginifica di questa tipologia.
L’universo narrativo creato come sfondo per lo sparatutto dei Bungie Studios è stato infatti ripreso, oltre che nei tre episodi principali, nello spin-off strategico Halo Wars e nel singolare shooter narrativo Halo: ODST da una vasta serie di romanzi e graphic novel, in modo non dissimile da quanto avvenuto negli anni per Guerre Stellari o Star Trek nei così detti Expanded Universe, i canoni mitologici di approfondimento riservati unicamente ai franchise dal successo generazionale. In quest’ottica e come già avvenne per Matrix, molto presto arriverà in Italia una compilation antologica giapponese creata da alcuni degli studios di animazione più influenti nel campo degli anime, intitolata Halo Legends. Inoltre è prevista per questo autunno l’uscita del misterioso Halo Reach, l’atteso gioco che potrebbe costituire l’ultima produzione di Bungie all’interno di questo franchise, prima del possibile reboot ad opera del publisher Microsoft.
Il futuro della serie di Halo appare incerto come il destino del suo protagonista al termine della sua terza e più recente missione, ma una cosa è certa: il suo progredire è destinato ad avere un impatto significativo ben oltre la prossima generazione di sparatutto per console. 

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Apple Computer 2.0

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Si chiamerà iPad, alla fine. Se ne era parlato molto negli ultimi mesi, ed ancora di più dal momento in cui era ormai certo che qualcosa doveva accadere. Il 27 gennaio 2010 potrebbe venire ricordato come la data in cui il CEO più famoso al mondo si è seduto su una poltrona di pelle sul palco dello Yerba Buena Center for the Arts di San Francisco e, con fare disinvolto, ha rivoluzionato il concetto stesso di computer. Nonostante l’inclinazione fortemente commerciale, le assurde limitazioni di utilizzo (mancano porte USB, memory card, fotocamera…) ed il design estetico meno che eccezionale, il nuovo shiny gadget del carismatico Steve Jobs sta già facendo parlare il mondo intero, mentre persino alcuni dei più convinti sostenitori dell’open source si preparano a prenotarne uno.
Riuscirà questa scommessa ad avere lo stesso travolgente successo del suo insigne predecessore, l’ormai ubiquo cellulare iPhone? Potrà realmente costituire l’anello mancante tra gli ingombranti laptop ed i compatti smartphone? Di certo contribuirà ad allargare e rafforzare i presupposti monopolistici della già colossale e sempre più potente compagnia informatica di Cupertino, California. Questo dispositivo non è infatti un computer in senso tradizionale, anche se naviga su Internet, riceve e-mail e visualizza una buona parte dei video e degli e-book. Un iPad non potrà in alcun caso essere programmato, personalizzato o impiegato in processi puramente creativi. Ogni applicazione che venga realizzata dai suoi utenti andrà singolarmente valutata ed approvata da Apple stessa, per poi essere resa disponibile in esclusiva tramite le stesse infrastrutture web utilizzate dall’iPhone e dall’iPod Touch. Il termine forse più adatto a definire iPad è quello di information appliance, una dicitura creata per Apple dal teorico Jef Raskin verso la fine degli anni ’70, liberamente traducibile in “elettrodomestico informatico”. Sarebbe la più nuova ed affascinante realizzazione di un’ideale vecchio quanto il concetto stesso di Personal Computer: un dispositivo facile da usare, privo delle astrazioni tipiche connesse all’esecuzione ed alla gestione di programmi  o contenuti digitali. Sempre acceso, sempre connesso ed utilizzabile in pochi minuti da chiunque e con qualsiasi grado di esperienza, come un televisore o una radiosveglia. Ma sottile quanto uno shoji e largo come un libro di storia. Praticamente, un computer stampato su un foglio di carta… metaforicamente refrattario a qualsiasi tipo di inchiostro.

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