Nel comune supermarket la gente può trovare centinaia di merendine, crackers, corn-flakes, gelati, pizze surgelate e cibi pronti ma, dopo tutto, non più che una dozzina o due di frutti differenti. Nonostante il lavoro delle numerose compagnie e laboratori agricoli, con le loro ibridazioni e gli esperimenti di ingegneria genetica, ciò che è genuino, ancora oggi, non può che risultare prosaico ed usuale. I sapori variano fondamentalmente da un paese all’altro, ma la globalizzazione dei mezzi di trasporto ha reso consueta, in ogni parte del mondo, ciascuna delle varietà di frutta più apprezzate. Tanto che ciò che proviene da luoghi tropicali oggi trova collocazione sulle tavole di tutti noi, anche qualora il clima sia del tutto inospitale per l’arbusto o la pianta generatrici. Provare qualcosa che sia nuovo al termine di un pranzo significa più che altro assaggiare specialità, per una ragione o per l’altra, poco popolari al di fuori dei rispettivi paesi d’origine: l’irsuto frutto tailandese dell’albero del Rambutan, il vermiglio Ngaw. Il travolgente Durian, equivalente alimentare di un sigaro cubano. La Pitaya, pastoso pomo vietnamita associato ai draghi. Poi, inevitabilmente, più che altro per praticità e abitudine, si fa ritorno ai classici. Banana. Kiwi. Cocomero. Castagna. Eppure, persino fra questi, c’è spazio per nuove straordinarie, impreviste scoperte agroalimentari…