L’epica ricerca della super-monetina

Donovan

Due Facce, l’alter ego maligno del procuratore Harvery Dent, prima di annientare le sue vittime era solito lanciare una moneta. Testa o croce, vita o morte. L’incapacità di prendere una decisione, per chi detiene ingiustamente un simile potere, è il più chiaro segno di follia. Gli eroi non hanno dubbi o esitazioni, agiscono puntuali, tempestivi, seguendo il faro mirabile della giustizia, da loro istintivamente percepita. Quindi non c’è da stupirsi se l’irascibile Donovan Murdock, protagonista di questo folle cartoon, al momento in cui lancia in aria quell’oggetto stranamente tintinnante, la sua scelta l’ha già fatta: “Chi tocca muore!” La fibbia cranio-forme, la mascella tagliata con l’accetta, i muscoli (superiori) di uno stritolatore: perché parlare? Ogni tetro passo, condotto tramite le piccole gambette, esprime un senso di minaccia. Costui, fra tutti, è l’allegoria più eloquente del concetto di machismo. Come Chuck Norris, che posto di fronte ai suoi nemici pare sempre dire “Tu? Con quale armata?” Il problema però, in questo specifico caso, è l’ambiente circostante. Donovan si trova in un luogo molto particolare, riconoscibile dall’atmosfera e alcuni aspetti di design. Quella serranda, quegli scatoloni…Non c’è dubbio: siamo nel vicolo d’inizio di un grande classico dei videogame. Il primo quadro di DOUBLE DRAGON. Guai, a chi dovesse mostrare la sua cara moneta in tal contesto, tirandola fuori dalla tasca. Stregoni, picchiatori, astronavi, draghi, orchi, aquile… L’armata dei nemici videoludici, gli eterni fagocitatori di gettoni, è già in agguato. Tempo di menar le mani! Fra splendidi effetti speciali, trasformazioni e scene apocalittiche degne del più moderno Adventure Time.
In questo video COIN dei talentuosi Exit73Studios, io ci vedo la perfetta riproduzione dello spirito dei primi videogame, anche, soprattutto a discapito delle minuzie. Quei giochi non sceglievano, intenzionalmente, di essere primitivi. Erano quanto di meglio potesse esistere, il non plus ultra, coronamento di lunghi anni di sviluppo tecnologico. Ricreandoli come davvero erano, gli si fa un dispetto, perché nessuno li guardava ad occhio nudo. Si usava la più strana delle lenti: quella della fantasia.

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Il variopinto biathlon dei carri armati

Tank Biathlon

Mettere a segno un colpo contro l’obiettivo, costi quel che costi, questo è lo scopo ultimo del carro armato. Qualcuno potrà dire: “Proprio come uno sciatore ai giochi olimpici invernali.” E quel genio delle analogie, molto probabilmente, sarebbe il perfetto comandante russo. Nei campi brulli fuori dal centro abitato di Alabino, distretto periferico di Mosca, ci sono quattro carri armati dell’iconico modello T72-B, grande trionfo ingegneristico dell’epoca sovietica: verde sbarazzino, giallo solare, rosso fuoco e l’ottimo color blu dell’oceano sconfinato. Corrono, scagliano proiettili, s’inseguono a ritmo di musica e lanciano scariche traccianti di mitragliatrice; non l’uno contro l’altro, s’intende… Qui non si fa la guerra, si pongono, piuttosto, le basi del più moderno degli sport. Un trionfo cannoneggiante, di cingoli tesi al massimo e spettacolari salve perforanti. Le ragion d’essere del biathlon dei carri armati, la cui prima edizione si è tenuta proprio lo scorso agosto, sono diverse e militarmente, non c’è che dire, piuttosto condivisibili. Innanzi tutto, l’evento costituisce un modo per trasformare le noiose esercitazioni di tiro al bersaglio, attività fondamentale per l’addestramento degli equipaggi, in un momento di gioia agonistica e fruttifera competizione. Poi c’è il fatto che, in effetti, siamo di fronte ad una vera gara inter-federale, momento d’incontro tra paesi uniti ma distanti, anche dal punto di vista prettamente amministrativo. I partecipanti della tenzone, infatti, rappresentavano rispettivamente gli eserciti di Russia, Armenia, Bielorussia e Kazakistan. Ulteriore idea portante, dunque, sarebbe quella di cementare l’orgoglio regionale attraverso la dimostrazione del proprio primato bellico indiscusso. Eppure, c’è sicuramente dell’altro. Per lo meno quest’anno, l’intera gara si è svolta nella più piena osservanza del fair play, neanche fossimo in presenza di una vera e propria federazione di prestigio. Assoluta uniformità di mezzi, munizioni e condizioni di partenza. Tutt’altra storia, rispetto alle reali condizioni di un conflitto bellico, presunto ambiente naturale dei T72-B. E a vederli competere tra loro, così variopinti e spensierati, questi mostri meccanici diventano la manifestazione materiale di una fantasia di gioco, il perfetto videogame. L’unica espressione valida per un qualsiasi tipo di conflitto armato.

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Il drago robotico più grande del mondo

Tradinno

Ci sono diversi modi per mantenere una tradizione; forse il più suggestivo è questo. Nel comune tedesco di Furth Im Wald, al confine con la Repubblica Ceca, da cinque secoli a questa parte si tiene la processione, festa e rappresentazione teatrale del Drachenstich, l’Uccisione del Drago. Le caratteristiche del programma parlano da se: 1500 persone coinvolte tra attori, figuranti e organizzatori. 750 bambini che sfilano in variopinti abiti d’epoca. 200 cavalli seguiti da quasi altrettanti carri storici, non allegorici. Tornei e accurate ricostruzioni di giostre medievali. E poi…Lui. Un robot animatronico, che sarebbe degno di un film de Il Signore degli Anelli non fosse che oggi, in quel campo, si fa tutto al computer. Che quasi ricorderebbe una macchina teatrale creata per il ciclo operistico dei Nibelunghi, se non per quel piccolo dettaglio. Ovvero l’essenziale capacità di muoversi liberamente attraverso un intero paese, camminando su quattro realistiche zampe. La sua performance, infatti, si svolge all’aperto. Tradinno è il dragone verdeserpe, scaglioso, sputafuoco, cornuto (e mazziato) del peso importante di 11 tonnellate, che dal 2007 ha preso il posto di quattro attori in costume, diventando il protagonista indiscusso di una delle più antiche rappresentazione folkloristiche di tutto il centro Europa. Piuttosto che da una caverna della Foresta Nera, Tradinno, il cui nome sarebbe un’amalgama tra “tradizione” e “innovazione”, proviene dalle officine tecnologiche della Zollner, rinomata compagnia di prototipazione e messa in opera meccatronica, con quartier generale nel pieno mezzo del land della Baviera. È frutto dell’appassionata progettazione da parte di 15 massimi esperti del settore, che dentro ci hanno messo di tutto. Nove unità di controllo modulare, ciascuna dotata di due processori DSP; un motore turbo-diesel da 2.0 lt, con la capacità di erogare 80Kw di potenza, più 10 di energia elettrica; due poderosi circuiti pneumatici, finalizzati alla deambulazione; l’organo fiammeggiante, che poi sarebbe una bombola del gas e l’essenziale sistema “di sanguinamento” con 80 litri di acqua colorata, da trafiggere all’occorrenza, con conseguente inzaccheramento dell’eroe di turno, fra il tripudio di tutti i presenti. Il drago è telecomandato.
Un conto è creare sistemi tecnici di supporto all’atmosfera di un evento, ma qui si è andato davvero oltre; un mostro simile, così perfettamente funzionale, toglie la voglia di fare gli eroi. Chi non vorrebbe, piuttosto, cavalcarlo?

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Nascita di un planetario meccanico

Orrery

“Piccolo Eric, tu che voto ti daresti?” Pur essere dei test di quinta elementare, i progetti di scienze della scuola Carrotilon/Diomedes, vincitrice del premio Best Teachers of 1967, richiedevano comunque un certo standard realizzativo. “Se…Sei?” L’arcigna maestra fece un smorfia, riportando una mano verso l’aguzzo mento, con fare meditabondo. “A partire dall’anno scorso abbiamo avuto 10 vulcani, 15 rane sezionate, 25 limoni elettrici…Oooh, le Idi di Marzo dei Grandi Uomini, oh, quanto…” La sua voce irata, gradualmente, si fece un velato bisbiglio. Eric, intento a far timidamente girare la manovella, diventò improvvisamente assorto. “…E poi! Questo planetario non ha nemmeno la simulazione dei crepuscoli, la visualizzazione dei punti cardinali! Mancano le stelle occidue delle diverse latitudini! E l’essenziale calcolo precessivo degli equinozi, ebbene? Dove diamine sarebbe?” Eric, facendo l’accenno di un ghigno un po’ tirato, prese tra il pollice e l’indice una piccola sfera del meccanismo “Ve..Venere è fatto di ciocc-“. I rappresentanti d’istituto, tenuti per tradizione a testimoniare l’evento, trasalirono impercettibilmente. Mrs. Nichols, alzando la voce d’un tratto disse “Non vaa ben-EE?! Pretendo la definizione della sfera di Ipparco, un’adeguata resa del disco armillare! Plutone non è nemmeno in scala e poi manca…Il secondo pianeta?” Eric, farfugliando con la bocca piena, continuò la sua esposizione: “-olata! E la Terra invece…” Calò il silenzio. I compagni di classe osservavano deliziati, i genitori tacquero perplessi. “…Pashta di man-dorle!” La Nichols, improvvisamente affetta da un tic all’occhio, pareva furiosa e sconvolta allo stesso tempo. Qualcuno, fra il pubblico, bisbigliava. La gente iniziò ad agitarsi. Eric, neanche finito di ciancicare l’azzurra culla dell’umanità, già prendeva in mano l’enorme Saturno. La maestra tremava: “Ma…Ma, io?” Chompchompchomp. Eric: “Mar-zi-pan!” Nel buco nero della sua bocca spariva l’intero gigante gassoso, comprensivo di satelliti ed anello di zucchero filato. I compagni gridavano “Evviva!” I genitori battevano le mani, i rappresentanti del consiglio d’istituto, esultanti, frugavano nella cassa delle coccarde. “Baicoli! Bavarese! Bianchitus! Bounet!” Tutti mangiavano e ridevano, come ridevano… Torta della nonna! Crostata di mele! “Primo posto! Primo posto!” La tirannica Nichols, riconoscendo la tardiva sconfitta, corse in lacrime fuori dall’aula. E da quel giorno la fiera di scienze della Carrotilon/Diomedes, vincitrice del premio Best Teachers of 1967, diventò un gradito giorno di festa.

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