L’epica migliore spesso viene da lontano. Succede di continuo, anche se in un modo prettamente circolare. Ulisse, l’astuto eroe per eccellenza, non era certo nato a Troia. Guerrieri, stregoni, magnifiche divinità, mostri vermilingui, prendono forma vicino a casa nostra, nella mente di persone indistinguibili da noi: i creativi in cerca di un impiego, ad esempio, o tutti coloro che per professione manovrano i concetti. Quelle loro creature, figure immaginifiche o fantastiche, sbucate da una penna, fiorite nella terra fertile di un foglio virtuale, per propensione non possono restare lì. Devono viaggiare molto a lungo, per mari e per monti, prima di acquisire fama, oltre il regno dell’annoso e dell’irrilevante. Ed è per questo che il protagonista, strumento di qualunque forma d’evasione dal concreto, riceve l’immancabile incombenza di completare una ricerca. Non per assolvere ad un ordine divino, bensì con il fine ultimo, non certo dichiarato, di generare quel conflitto, considerato propedeutico al racconto: la Peripezia. Soltanto per lei, con gran dolore, si va nella città dolente.
Il pubblico coinvolto, fra tutte le risorse, è forse la più difficile da assicurarsi. C’è chi sceglie di conquistarselo tramite la facile fruizione. Sono, costoro, gli assemblatori delle storie più stratificate, ma pur sempre chiare, in cui tutto avviene con un senso logico e per espliciti obiettivi. Però c’è pure, come contrappunto, l’ermetismo narrativo, linguaggio scelto dall’autore misterioso GORGONAUT. L’avete visto il suo ultimo cartone? Ci sono tre vichinghi, armati di bastone, ascia e spada, che marciano caparbi sulle ossa e sopra i resti di un’intera armata. E c’è un immortale guardiano in armatura d’oro, con la maschera funerea di Agamennone, versione pseudo-boreale. Personaggi più grandi dell’umano, che lottano strenuamente, fino all’ultimo respiro, per il privilegio di mangiarsi un fiore. Lo strumento salvifico finale!