Nel mezzo delle verdeggianti praterie del North Dakota, mentre si percorre la strada verso la cittadina di Langdon, capitale della contea di Cavalier, compare all’improvviso all’orizzonte. A un occhio impreparato, può sembrare certamente questo: una versione tridimensionale, dall’altezza di un palazzo di quattro piani, dell’esoterica effige che campeggia sul biglietto da un dollaro, in cui l’Occhio della Provvidenza è stato riposizionato, dalla sommità della piramide, sul fianco della sua superficie obliqua. E d’altronde non a caso, la sua sommità è del tutto assente, facendo assomigliare l’edifico a una versione lasciata incompleta del monumentale mausoleo egiziano, che si staglia contro il cielo azzurro dell’avvenire. Così può essere inquadrato, con senso di perplessità soltanto accennato, il teorico del complotto che dovesse sollevare i suoi sospetti relativi a misteriosi rituali apotropaici degli Illuminati condotti all’interno, o altre branche della Massoneria del tutto imprescindibile nel tessuto di quella grande nazione. Il che è vero, a conti fatti, solamente a metà. Poiché il complesso Stanley R. Mickelsen, così chiamato in onore del comandante d’artiglieria della seconda guerra mondiale e successivo sostenitore del programma balistico anti-nucleare statunitense, aveva il compito di offrire un tenue bagliore di speranza, a tutti coloro che erano convinti (in modo non del tutto irragionevole) dell’inesorabile pendenza della fine della mondo. Anche o perché no, soprattutto, in seguito alla firma del trattato del 1972 per la limitazione degli armamenti nucleari stipulato con l’Unione Sovietica, in cui entrambi i paesi si impegnavano a costruire soltanto due siti di difesa anti missili ciascuno, il primo in prossimità della capitale, ed il secondo al fine di proteggere i loro siti di lancio. Con l’idea di base, quasi encomiabile tutto considerato, che l’eventuale selezione come bersaglio sacrificabile di qualche milione di persone fosse preferibile alla devastazione di interi continenti. Accordo concluso il quale, naturalmente, i capi di stato maggiore americani erano già a buon punto nella costruzione del prototipo della propria iniziativa di difesa, avendo già deciso da tempo, e in modo alqaunto prevedibile, di dare priorità alla tutela delle armi piuttosto che alle persone. Il che aveva tutto sommato una sua logica, di fronte a qualcosa di orribilmente devastante come un eventuale bombardamento a base di ICBM, dinnanzi al quale l’unica vera contromisura possibile era disporre di un adeguato deterrente anche successivamente all’eterno inverno nucleare. Fu dunque inaugurata il primo aprile del 1975 (data niente meno che emblematica) forse la più ambiziosa e futuribile stazione d’intercettazione di ordigni atomici con la forma di un solido platonico imperfetto. Entro il primo ottobre di quello stesso anno, completata la consegna del suo formidabile munizionamento, fu possibile affermare che avesse finalmente raggiunto la piena efficienza operativa. Il giorno dopo, con decreto sanzionato dal Congresso a Washington e la firma del trattato da parte dei Russi, il progetto venne decretato come ridondante ed eccessivamente dispendioso, ordinandone perciò la chiusura. Con buona pace dei 15 miliardi del denaro dei contribuenti già spesi, per un vero e proprio simbolo del modo singolare in cui viene impiegato il budget per la spesa militare di una nazione contemporanea…
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Le tre prove impressionanti della torre che sovrasta i cieli variopinti di Canton
C’è qualcosa, nel profondo spirito cinese, che porta le persone ad apprezzare i luoghi alti ed almeno in apparenza, precari. Come spiegare altrimenti luoghi come la montagna di Hua, dove un tragitto di assi avvitate nella parete verticale rocciosa conduce alla casa da tè più remota del mondo, oppure i molti ponti dal fondo trasparente della regione dello Hunan, dove gli antichi artisti marziali si allenavano all’interno di strutture clericali semi-nascoste dalla foschia… Attrazioni in grado di monopolizzare l’attenzione, è importante sottolinearlo, di decine di migliaia di turisti ogni anno, e non tutti appartenenti alla categoria dei giovani sportivi e in forma fisica eccellente. Ponendo un paese come questo ai massimi vertici nell’implementazione dei sistemi di sicurezza individuali, come prerogativa culturale e pratica, capace di essere adattata alle necessità di avventurieri dai 12 agli 80 anni, e l’occasionale eccezione in grado di esulare da quest’ampia contrapposizione delle due stagioni contrapposte dell’esistenza. Eppure mai, prima dell’inaugurazione di un luogo come questo, la possibilità di mettersi alla prova in un siffatto modo si era palesata in circostanze tanto accessibili e immediatamente preminenti, come il centro cittadino di un agglomerato da quasi 15 milioni di abitanti. Ciascuno dei quali, a partire da gennaio del 2021. è stato indotto quotidianamente a chiedersi se l’ipotesi dovesse in qualche modo spaventarlo, di sperimentare su se stessi l’esperienza di librarsi momentaneamente sopra i campi e i tempi della vita quotidiana, come i saggi dei grandi classici taoisti che avevano lasciato indietro il peso del corpo fisico legato alle catene della gravità terrestre. Difficile? Importante. Persino epocale. Tutto questo e molto altro è l’eventualità qui offerta, lungo il perimetro della torre paraboloide delle telecomunicazioni, a coloro che decidono o si troveranno ad affrontare il triplice tragitto denominato Landmark Alpha, iniziativa turistica creata dalla compagnia francese specializzata MND Leisure. In parole povere una sorta di sfida, suddivisa nei livelli facile, medio e difficile (o come dicono da queste parti: gold, diamond, king) dislocati tra i 198 e i 298 metri dei 604 della torre, incluso il pinnacolo svettante sopra lo skyline cittadino. Un distinguo a dire il vero meno significativo di quanto potrebbe sembrare istintivamente, quando si considera come anche un decimo di entrambe le cifre sarebbe potuto bastare a rendere letali eventuali cadute, benché l’effettiva casistica risulti assolutamente poco probabile, considerato l’alto grado di sicurezza garantito dagli istruttori in caricati di supervisionare l’esperienza, oltre all’elevata sofisticazione delle imbracature e i punti di sostegno usati per tutelare i visitatori, così solertemente disposti ad abbandonare ogni istinto implicito del senso di sopravvivenza umano. Nel momento stesso in cui i loro piedi abbandonano la piattaforma di partenza, poggiando sui gradini obliqui di un’arrampicata del tutto priva di precedenti…
La battaglia generazionale per la riconquista dell’isola delle otarie
“Ben fatto, questa era l’ultima.” L’esperto ranger norvegese, in trasferta all’altra estremità del mondo, si complimentò con espressione grave nei confronti del suo aiutante, anch’egli facente parte dell’Ispettorato per la Natura del loro paese. Quindi tirò fuori il suo fucile semiautomatico dall’elevato volume di fuoco. “Un problema causato da un nostro connazionale, un problema che risolveremo noi stessi” Avevano giurato entrambi, qualche mese prima di quel fatidico febbraio del 2011, trascorso assieme con l’intento di perlustrare, contare ed infine radunare il più meridionale branco d’ungulati appartenenti al Circolo Polare Artico, trapiantati in modo tanto problematico assieme a maiali, capre e ratti a vantaggio o per la negligenza di un’intera generazione di sedicenti esploratori. Sotto la guida del più facoltoso di loro, lo sterminatore di balene ed altri incolpevoli mammiferi marini Carl Anton Larsen, che partendo dalla sua natìa città di Østre Halsen, si era recato fin quaggiù nel 1904 per costruire la base operativa di Grytviken, destinata a diventare uno dei principali insediamenti umani dell’Atlantico Meridionale. Un luogo spietato ed efficiente, perennemente avvolto dai fumi della raffinazione del grasso animale, estratto con metodi industriali dalle schiere di otarie orsine (Arctocephalinae) prelevate progressivamente dall’ingente popolazione di questi lidi. Qui, nell’isola della Georgia Meridionale, con 3.528 Km quadrati d’estensione situati a 1400 Km dall’arcipelago delle Falklands, oltre la punta estrema dell’America meridionale. Un passaggio obbligato all’epoca, e in certi casi la meta finale, di tutti coloro che sognavano di raggiungere il vasto continente meridionale. Nonché patria univoca, come si sarebbe scoperto soltanto più tardi, di circa il 90/95% della popolazione mondiale di questi imponenti pinnipedi, oltre al 50% degli elefanti marini (gen. Mirounga) degli oceani meridionali. E qualche centinaia di migliaia di pinguini appartenenti a specie plurime, per buona misura, facendo a pieno titolo di tale luogo ciò che alcuni definirono a suo tempo “il Serengeti dell’emisfero meridionale” benché si trattasse di un paragone non del tutto calzante, di fronte all’estrema densità, e conseguente vulnerabilità, di una simile quantità di creature. Dinnanzi ad episodi come quello che avrebbe iniziato a dipanarsi, proprio per l’opera di Larsen, quando fu scoperta l’eccezionale capacità di proliferazione della tipica renna norvegese, dopo che un piccolo branco era stato liberato nella regione di Barff. Per arrivare a raggiungere incredibilmente, entro il 1958, la cifra spropositata di 3.000 esemplari, ciascuno incline a pascolare, consumare l’erba locale, offrire competizione ed in molti altri modi simili disturbare la preziosa ed insostituibile fauna locale. Fu perciò una scelta pressoché obbligata, in epoca contemporanea, quella operata dai naturalisti con il beneplacito del governo inglese, tutt’ora nominale amministratore di una tale terra emersa rimasta senza abitanti in pianta stabile ormai da svariati decenni, per lo sterminio sistematico della specie aliena, intrapreso con totale assenza di esitazioni o alcun tipo di pregiudizio, seguito dall’accorgimento di accatastare le carcasse in grosse navi frigorifere e, almeno così è stato detto, donarle come fonte di cibo alla popolazione della Terra del Fuoco. Un eccidio compiuto a fin di bene, su proporzioni letteralmente prive di precedenti nella storia della conservazione naturale, particolarmente utile proprio perché l’unica soluzione possibile di circostanze ormai avviate sul sentiero irrimediabile della perdizione. Eppure ad uno sguardo nella cronistoria di quest’isola, non l’unico compiuto a vantaggio della sua nutrita popolazione d’animali nativi…
L’altro trono di Michele arcangelo che si affaccia sull’Atlantico del Nord
Sotto il velo delle nubi, oltre lo schermo della nebbia, dietro la barriera dei flutti, per oltre un millennio le due fortezze si sono guardate a vicenda. Come una linea divisoria, tracciata tra le sagome indistinte, ne ha permesso la continuativa comparazione: poiché laddove una cresceva, l’altra non era da meno. E quando una torre veniva aggiunta per guardare verso il mare innanzi alle rive della Normandia, lo stesso avveniva in Cornovaglia. Tutti conoscono, del resto, Mont-Saint-Michel. Molti conoscono, allo stesso modo, St. Michael’s Mount? Certo, se appartengono alla terra di Britannia. O vivevano tra i Greci ai tempi delle poleis, quando il siciliano Diodoro scrisse nelle proprie cronache dell’isola di Ictis, dove gli abitanti culturalmente remoti estraevano e commerciavano l’essenziale stagno, utilizzato per il bronzo necessario a combattere le guerre del Mondo Antico. Naturalmente molto sarebbe cambiato attraverso gli anni ed altrettanto naturalmente, l’isolotto costiero sarebbe stato a un certo punto fortificato. Come resistere, del resto, alla tentazione… Accessibile ad orari alterni, a causa dei flussi e riflussi di marea (altro elemento equanime con la condizione dell’omonimo in territorio francese) questo recesso dell’estremo meridione britannico fu lungamente visto come alternativa all’isola di Isola di Wight, in qualità di chiave d’accesso a un regno, o variegata quantità di essi, che non fu mai FACILE invadere. Partendo da sud. Non prima di aver lungamente assunto, di suo conto, un profondo significato ai fini della religione cristiana. Si parla a tal proposito già nell’ottavo secolo dopo Cristo, durante il regno di Edoardo il Confessore figlio di Etelredo II “lo Sconsigliato”, di un monastero benedettino che costituì per qualche tempo il priorato di tutta la penisola di Cornovaglia, per circa tre secoli e finché l’inizio della guerra dei cent’anni non portò alla dissoluzione dei monasteri in terra inglese. Ma non della sacralità per lungo tempo percepita, e attribuita da un gremito popolo, a località come questa. Sebbene privo per la prima parte della propria storia del tipo di estensive costruzioni monastiche che caratterizzavano il più celebre Monte di San Michele, già edificato attorno ai primi anni del ‘700, l’insediamento costiero britannico avrebbe dunque ricevuto in questi anni il suo primo castello inclusivo di chiesa e alloggi ecclesiastici, dimostrando un intento fortemente incline alla versatilità d’impiego. Soltanto in seguito, d’altronde, si sarebbe cominciato a motivare tale impresa con l’apparizione pregressa dell’eponimo arcangelo militante attorno a quegli anni, in realtà per mera e prevedibile analogia con la leggenda del sito simile all’altro lato della Manica Inglese. Il che non avrebbe fermato, ma piuttosto incrementato la quantità di pellegrini interessati ad avventurarsi presso questi lidi, il che avrebbe portato già nel Medioevo alla costruzione di una prima accezione del pratico viale sopraelevato in blocchi di granito, privilegiata via d’accesso ai prati erbosi che circondano il piccolo complesso d’edifici. Forse non estensivo o popolato quanto quello della vasta fortezza dei Franchi, ma cionondimeno formidabile in forza di un’altezza superiore sul livello del mare. E i molti condottieri che si avvicendarono, attraverso il succedersi delle generazioni, tra le sue forti e sacre mura…