La carta è un materiale che facilmente trae in inganno l’intelletto umano. Bianca come marmo, opaca oppure lucida, suggerisce un senso di fondamentale impermanenza. Poiché leggera, sembra delicata, effimera. Nell’uso quotidiano, si strappa e rovina facilmente, oppure si macchia e finisce per perdere ogni utilità. Statue di marmo e bronzo, nate dall’opera di antichi artisti, sono giunte a noi attraverso secoli di polvere e maltrattamenti; mai, fino ad ora, qualcuno aveva scelto d’infondere la sua sapienza scultorea nella mera carta. Li Hongbo, ispirandosi alla struttura a nido d’ape di un certo tipo di lanterne cinesi, quelle dette “a zucca”, spesso usate nelle feste dei bambini, incolla l’un sull’altro queste migliaia di fogli, per poi cesellarli e limarli con una fresetta elettrica, riuscendo così, dopo mesi di lavoro, a ritrarre un qualche tipo di soggetto. Quindi, nel momento della verità, basta un colpetto per compromettere il preciso baricentro di una di tali creazioni, causandone l’inarrestabile dispiegamento vermiforme. Ma una volta rimessa in ordine la strana molla slinky in cellulosa, tutto torna come prima. Fluidità delle forme non sempre significa disfacimento, anzi talvolta crea diverse chiavi d’interpretazione. Queste teste allungabili, serpentine, nascondono l’abilità di cambiare aspetto da un momento all’altro. Proprio come gli esseri fantasmagorici di un racconto surreale.