Il nostro pianeta non è un mondo statico e ospitale, scenografia immobile delle creazioni umane. La sottile crosta terrestre, strato solido profondo appena qualche decina di chilometri, poggia instabile su sfere sovrapposte di magma liquido e minerali fusi. Passeggeri nostro malgrado della perenne deriva dei continenti, risentiamo inevitabilmente di catastrofi geologiche come terremoti e eruzioni, fenomeni tanto gravi noi esseri viventi quanto insignificanti da un ipotetico e oggettivo punto di vista cosmico. Ed è così che le aperture verso il mondo sotterraneo, dischiuse attraverso i secoli dalle forze inerziali delle zolle emerse, diventano vulcani o sorgenti di magma, luoghi inospitali e terribili. Ma talvolta capita che dal profondo della Terra non scaturiscano fuoco e fiamme, bensì le acque nutrienti e preziose di bacini acquiferi, doni naturali in grado di creare fiumi immensi e nutrire intere civiltà. Qualcosa di simile avvenne, milioni di anni fa, nell’America meridionale: il suo frutto, chiamato un tempo Apurimac (l’oracolo) è oggi noto come Rio delle Amazzoni. Con i suoi 6937 Km di lunghezza, un volume d’acqua impressionante e innumerevoli affluenti, questo fiume è tuttora il più grande e significativo tra quelli visti da occhio umano. Tuttavia di recente, grazie al lavoro di un team multiculturale di scienziati, il suo primato sarebbe in pericolo. Perché è stata ipotizzata l’esistenza di un fratello segreto, a 4 chilometri di profondità direttamente sotto di lui, altrettanto lungo, più antico e di gran lunga più imponente. Si tratterebbe di un fiume sotterraneo le cui sponde arriverebbero a distare tra loro anche 400 Km: il colossale e misterioso Rio Hamza.
Jacopo
La voragine del deserto che brucia da più di 40 anni
In Turkmenistan, nella provincia di Ahal, nel mezzo del nulla c’è un villaggio di 350 abitanti semi-nomadi appartenenti alla tribù di Teke, chiamato Derweze. Il suo nome significa “la porta” un termine originariamente dovuto al suo ruolo di oasi e punto di scambio sul confine del Karakum, il più grande e arido deserto della regione. Ma a partire dal 1971, a causa dell’errore di calcoli di una squadra di geologi, in prossimità del piccolo centro abitato si è palesata un’altra soglia, verticale e incandescente, verso la più terribile e spaventosa delle località: l’Inferno. Si tratta essenzialmente di un impressionante cratere largo 70 metri e profondo 20, sede di un incendio inestinguibile e inesauribile, figura inquietante, geologicamente atipica e meta di un turismo particolarmente coraggioso da ormai più di quattro decadi. In merito al pianeta Terra, nessuno conosce i veri limiti delle casualità ambientali e tutt’ora non ci è dato sapere quando, e se mai, il fiammeggiante gas di Derweze giungerà ad esaurimento.
Illusione anamorfica: fantasia o suggestiva realtà?
Se la mano è più veloce dell’occhio meglio allora sarà meglio non parlare della telecamera. Persino i prestigiatori dilettanti, grazie all’invenzione della TV, possono dare sfoggio d’incredibili doti manipolative e capacità illusionistiche d’eccezione, facendo misteriosamente svanire le loro avvenenti collaboratrici e gli orologi o portafogli del pubblico con l’abilità di validi e potenti stregoni. Perché se il punto di vista è fisso e registrato, tutto diviene soggettivo: ciò che guardi è solo quello che vogliono farti vedere, non puoi più fidarti di niente e di nessuno. Tranne che di di Djanii threedee, il mago della fotografia anamorfica, in grado di dare corpo e forma materiale alle immagini tridimensionali che dispone sul proprio tavolo.
Il sogghigno un pò strano del piccolo ragno hawaiano
La prospettiva cambia ogni cosa. Quando Eugène Simon, grande naturalista francese, trovò nei suoi viaggi questo piccolo aracnide (appena 5 cm) decise di chiamarlo scientificamente Theridion Grallator, ovvero animaletto trampoliere. Una definizione in greco e latino, che lo poneva nella grande famiglia dei ragni colorati dalle dimensioni ridotte, differenziandolo principalmente per la caratteristica lunghezza delle sue zampe. Ma i nativi dell’isola di Maui, forse più istintivi e spontanei, lo conoscevano bene e già avevano per lui un’altro nome: nananana makakiʻi, il ragno dal volto umano. Perché sul dorso degli esemplari di questa specie compaiono una ricca varietà di figure colorate, rosse nere e gialle, che il più delle volte creano la perfetta approssimazione di una faccina sorridente, simile a uno smiley o al trucco di un clown. Occhi tondi, niente naso, grande bocca rossa aperta e rivolta verso l’alto. Gli appassionati del web troveranno forse in questa creatura l’occorrenza più imprevista e strana della famosa icona Awesome Face, allegoria emotiva nata come ausilio grafico per un forum dei Pokèmon, trasformatasi in una vera e propria meme del mondo di Internet. L’unica differenza è la presenza delle sopracciglia. Il disegno è trasmesso ereditariamente e talvolta può variare in base a quanto il ragno ha mangiato.