Le grandi flotte, gli eserciti in marcia, le missioni aeronautiche a lungo raggio. Eppure molti tendono a dimenticare come, tra gli Stati Uniti e la Russia, la distanza minima sia di appena 88,5 Km. Da percorrere oltre i confini delle terre abitate, nel grande gelo soprastante in base a quella logica secondo cui l’estremo settentrione si trova “in alto”. Una via percorsa saltuariamente nel corso della seconda guerra mondiale ed oltre, quando i perlustratori aeronautici ricevevano l’ordine di sorvegliare eventuali movimenti per conto dei reciproci membri di quell’alleanza, destinata a sciogliersi pochi giorni dopo la caduta del comune nemico. Così come un qualcosa di simile si verificava verso l’altro lato di quel continente, attraversando l’alto e stretto Canada per estendere il controllo verso la terra di nessuno della vasta isola atlantica di Groenlandia. Il che poneva al centro il non troppo semplice quesito di come, effettivamente, navigare tali terre prive di rilievi riconoscibili o altri punti di riferimento, oltre le propaggini abitate del Circolo Polare Artico. Allorché una delle pietre miliari preferite dai piloti statunitensi non sarebbe diventato un lago dalla perfezione geometrica più unica che rara: un cerchio dal diametro di 3,44 Km lungo la penisola di Ungava, nel distretto amministrativo di Nord-du-Quebec. Così remoto, nel dipanarsi di paesaggi che nessun occidentale aveva mai esplorato, da essere del tutto sconosciuto in geografia, pur possedendo un appellativo attribuito dalla popolazione locale dei Nunavimiut, gli “Inuit che vivono in prossimità del mare”. Nome preso in prestito dalla parola Pingualuit, il termine locale comunemente riferito al tipo di lesioni o discontinuità che tendono a comparire sulla pelle di coloro che non indossavano abiti abbastanza coprenti, in un luogo dove le temperature invernali potevano anche scendere al di sotto dei 30 o 40 gradi sotto lo zero. Con l’opzionale alternativa, dall’impostazione metaforica decisamente più elegante, di Occhio di Cristallo di Nunavik, a causa della notevole trasparenza delle sue acque prive di sedimenti. Non che tale luogo avesse un qualche tipo d’importanza per il foraggiamento o l’organizzazione di eventuali villaggi, trovandosi nell’entroterra e senza fiumi di alcun tipo per collegarlo alle coste abitate. Chiaramente rifornito dalle sole piogge e scioglimento stagionale dei ghiacci, esso sarebbe dunque rimasto un’anomalia per i pochi che ne conoscevano l’esistenza, almeno finché a qualcuno non fosse venuto il desiderio di approfondire. E quel qualcuno fu il prospettore dei diamanti dell’Ontario Frederick W. Chubb, che nel 1950 decise di raggiungerlo assieme all’amico V. Ben Meen, direttore del Museo di Geologia di Toronto. Con l’unico tipo di mezzo in grado di atterrare nei dintorni: un idrovolante…
Jacopo
Lo spettro che non è un vampiro, ma può divorare gli altri latori dell’oscuro mantello
Persone della notte vivono nella natura, libere, selvatiche, potenti nella loro pratica distanza dalle regole imposte nel sistema di civile convivenza metropolitano. E se non vai a dormire, qualche volta potrà capitarti d’incontrarle ma chi pone un limite, davvero, alle crudeli peregrinazioni di coloro che venuti dalla giungla, pretendono di ritornarvi insanguinati a satolli? Chi uccide gli uccisori dei contesti tropicali sudamericani? Chi disegna i limiti del territorio sorvolato dai seguaci silenziosi dell’obnubilata condanna? In un importante mito messo per iscritto dalla tarda civiltà Maya, i due eroi gemelli Hunahpu e Xbalanque si erano recati ad affrontare delle prove nei territori sotterranei dell’oltretomba. Infiltrandosi nella pericolosa casa dei pipistrelli, essi dovettero impiegare la magia per nascondersi all’interno delle rispettive cerbottane. Ma Hunahpu, convinto che il peggio fosse passato, si sporse troppo presto con la testa per controllare i dintorni. E forti artigli piombarono a decapitarlo, trasportando via l’oggetto cranico per impiegarlo come palla nel gioco sacro delle divinità superne. Minaccioso e terribile, potente spirito esiziale: Camazotz era un peloso volatile antropomorfo dai diversi avatar disseminati tra gli alberi di questa Terra. Il più impressionante dei quali, senza dubbio, può configurarsi come l’agile “vampiro” gigante, la cui apertura alare sfiora, e qualche volta supera il metro bastando a farne il più imponente pipistrello carnivoro al mondo. Ora è consigliabile specificare come, contrariamente a quanto avessero pensato i primi classificatori scientifici nel XVIII secolo, il Vampyrum spectrum non succhi affatto il sangue (pratica connessa unicamente a tre specie di chirotteri: Desmodus rotundus, Diaemus youngii, Diphylla ecaudata) ma uccida piuttosto tramite un letale morso della sua mandibola, semplicemente la più forte, in proporzione alla grandezza, di ogni altro mammifero al mondo. Risultando sufficiente a ghermire i tremanti topi del sottobosco, gli incolpevoli pennuti assopiti nei nidi ed ogni volta che ne capiti l’opportunità, altri pipistrelli che cattura facilmente in volo, tracciandone il verso di ecolocazione grazie all’udito straordinariamente affinato. Così come l’olfatto, capace di farne un vero e proprio investigatore delle potenziali fonti di cibo oltre il velo impenetrabile dell’oscurità notturna. Perpetrando rituali non del tutto scevri di malignità apparente, il cui effettivo dipanarsi resta largamente ignoto a noialtri abitatori del cotesto diurno. Giacché non è particolarmente facile sottoporre a studi approfonditi chi abita in recessi assai remoti e raramente adiacenti, necessitando di ampi spazi ove trascorrere le lunghe ore in caccia per nutrire se stesso e la propria famiglia. Creature rare, anche nelle migliori delle circostanze, ed ancor prima che il Progresso si mettesse di traverso sulla strada della loro incolpevole sopravvivenza ulteriore…
I possibili vantaggi dei palloni nello strato di cemento che sorregge i grattacieli
Sopra le strade trafficate della zona metropolitana di Torino, una curiosa lastra rettangolare sta venendo sollevata da un paranco gigante. Il tipo di gru dotata di sostegni mobili, che durante l’edificazione di palazzi colossali cresce assieme ai principali pilastri di sostegno, tentando in apparenza di raggiungere il cielo. È l’anno 2022 e le maestranze coinvolte si apprestano ad elevare di un altro piano la torre di Fuksas, palazzo di 200 metri costruito per consolidare le molteplici sedi della Regione. Eppure c’è qualcosa, ad uno sguardo maggiormente approfondito, che colpisce nella forma di quel parallelepipedo volante. Poiché in esso si ripetono, in maniera modulare, linee sovrapposte di elementi globulari. Come una serie di ordinati palloni da calcio… Incapsulati in un reticolo metallico che cattura e riflette l’invitante luce del paesaggio piemontese!
Molti sono i materiali alternativi frutto di tecnologie moderne, soluzioni avveniristiche, intuizioni personali di figure addette all’implementazione di efficaci approcci architettonici nel campo delle costruzioni. Ma per quanto ci si sposti verso la progettazione sostenibile, in ogni edificio al di sopra di un certo numero di piani, non può essere mai totalmente sostituito il ruolo imprescindibile della soletta in calcestruzzo. L’effettiva e funzionale lastra, nata in forma fluida dalla mescola di aggregati ed acqua, che più di ogni altro elemento consolida, sostiene e costituisce il fondamento di una vasta gamma di ambienti sopraelevati. Perciò non c’è molto da sorprendersi, quando alla fase dello studio di fattibilità, nella stragrande maggioranza dei grattacieli uno dei costi più elevati è rappresentato dall’implementazione plurima di questo elemento ricorrente, in un certo senso in grado di costituire assieme alle travi in acciaio lo scheletro, ovvero la nervatura del prodotto finale. Ciò senza neppure mettersi a considerare l’impatto ambientale, del tutto implicito nella produzione di anidride carbonica che si accompagna nelle circostanze produttive, o la difficoltà logistica nel sollevare tali e tante tonnellate di materiali.
Perciò considerate, a questo punto, il massimo vantaggio del cemento: una resistenza eccezionale alla compressione, ma molto più limitata alle energie di torsione o tensione. Non sarebbe meglio tentare in qualche modo d’alleggerirlo? Una finalità perseguita già nel primo secolo dagli antichi, con il caratteristico soffitto a cassettoni della cupola del Pantheon di Roma. Laddove in epoca moderna ancor più l’effettivo spessore della lastra può fare a meno d’essere proporzionale alla sua lunghezza, grazie alla presenza dell’armatura metallica che ne costituisce l’elemento interno di primaria importanza. Mentre, al conteggio numerico delle forze in gioco, c’è ben poco che i buoni tre quarti, se non due terzi di quell’intera massa, riescano a contribuire alla solidità perimetrale o verticale dell’edificio. Ed è qui che può trovare luogo ad essere il più versatile e ineffabile degli elementi: l’aria stessa…
La banca nell’alto castello di montagna, concetto futuristico del Medioevo magrebino
Uno dei vantaggi dell’antico sistema societario tribale è la facilità con cui la comunione identitaria possa essere impiegata con il fine di creare strutture organizzative complesse. Nessuna divisione in caste, supervisione d’intenti o corvée imposta dall’alto è di suo conto necessaria, quando l’intera collettività si riconosce come schiatta di una stessa speme, guidata innanzi dalla forza delle tradizioni e il desiderio di rappresentare una propaggine delle sincere moltitudini, istruite dal bisogno e dall’istinto di mantenersi realmente efficienti. Allorché tutto diventa possibile, persino l’adozione di sistemi e approcci che anticipano i flussi concettuali dei nostri giorni. Pensate, a tal proposito, al concetto di una banca. Non tanto come istituto di credito, bensì l’organizzazione fidata, presso cui disporre i propri beni di valore proteggendoli dall’incombenza degli eventi, eventualità particolarmente gravosa in un’epoca di leggi labili e piccole città stato o grandi villaggi, essenzialmente in una condizione di conflitto che si estende all’infinito. Questa era, da molti punti di vista, la regione del Maghreb nel quindicesimo secolo all’epoca della dinastia islamica Wattaside con capitale Tazouta, essendo impegnata a difendere i confini del nominale impero da invasioni esterne al termine della Reconquista spagnola, non aveva altra scelta che lasciare alle etnie dell’alto deserto la facoltà di governarsi da sole. Così come avevano fatto da migliaia di anni, coloro che gli europei chiamavano berberi, ma che fin da tempo immemore si erano autodefiniti con il termine di Amazigh, “Uomini Liberi” ed in tale guisa, avevano raggiunto un sostanziale stato di equilibrio organizzativo. Il concetto di accumulo dei beni, tuttavia, non è soltanto figlio del capitalismo bensì un’essenziale componente della società mercantile, e proprio per questo, costoro avevano potuto usufruire di una metodologia capace di permettere la protezione senza compromessi della posizione di chi aveva più degli altri. E tale struttura, intesa in senso letterale come opera architettonica, era l’agadir (pl. igudar) ovvero “muro” o “complesso fortificato” un tipo di castello dalle spesse mura, entro cui si dipanava una suddivisione degli spazi molto particolare. Con un cortile interno, circondato da alte mura e torri di guardia, presso cui si affacciavano una serie di piccole stanze sovrapposte, tutte identiche per dimensioni e caratteristiche. Ma non il contenuto, giacché soltanto una singola famiglia poteva accedere a ciascuno di tali spazi rigorosamente messi al sicuro con sistemi di chiusura complessi, ove deporre temporaneamente il frutto del raccolto, beni di valore, documenti importanti. Creando in senso pratico l’equivalenza, in altri termini, delle odierne cassette di sicurezza, o ripostigli all’interno di un magazzino ad accesso fortememente regolamentato…