La disciplina meditativa dello Zen, come certe altre grandi filosofie dell’uomo, scaturisce dall’oscurità di una caverna. Quella in cui il saggio monaco Bodhidharma si ritirò a meditare per nove lunghi anni, osservando per tutto il tempo una scarna e umida parete, senza mai voltarsi o proferir parola. Se solo avesse avuto con se un gatto! Avrebbe finito molto prima. Certi animali hanno la dote innata d’interpretare a piacimento i misteri dell’universo… Come il significato più profondo di un cocomero o una mela. Purché non se li mangino prima. Gli esseri quadrupedi ripresi in queste suggestive inquadrature, immobili come statue di pregiate tombe egizie, osservano la frutta con l’impiego di un diverso tipo di saggezza. Sembrano aver trovato, in tale squisita rotondità botanica, le precise orbite dei pianeti. Misurano attentamente, dal profumo delle intonse bucce, il respiro dell’infinito. Perché Zen significa restare distratti, assorti. Non semplicemente concentrati. Se l’uomo pensa intensamente a qualche cosa, finisce per ritornare ai suoi bisogni, al senso ultimo della sua vita. Chi siamo? Dove andiamo? Il gatto non è così, lui sa tutto del momento corrente e non si pone interrogativi sul futuro. Da dove viene, non gli importa. Se l’è dimenticato. Guarda il delizioso mandarino, pensa e produce uno spontaneo senso d’illuminazione. Praticamente, un lampadario.
Ci sono due famosi omocha (giocattoli) provenienti dal Giappone che vengono esportati verso ogni angolo del mondo, per via della loro reputazione fortunata. L’uno proviene dalle antiche credenze animistiche del culto shintoista, l’altro è profondamente legato alla cultura dello Zen. Maneki neko è il gatto che invita a entrare. Si trova sui banconi dei negozi o dei ristoranti, riconoscibile per l’espressione allegra e le due zampette alzate. Con la sinistra chiama i clienti, con la destra il denaro. Talvolta, specie nelle versioni occidentali, include un meccanismo basculante a moto perpetuo su una sola delle sue zampe, diventando così sostanzialmente “il gatto che fa ciao”. Si dice che più alta sia la manina, più risulti efficace nel portare bene. Quindi la tiene, generalmente, molto alta.
L’altro celebre gingillo è la rossa bambola daruma, un ritratto impressionista di Bodhidarma, morfologicamente indistinguibile da un uovo. Si narra, infatti, che dopo i suoi molti anni di vita solitaria nella caverna, a causa della prolungata immobilità, il grande monaco avesse perso l’uso delle braccia e delle gambe. Tradizionalmente i daruma, per loro ulteriore sventura, sono venduti senza occhi. Il proprietario ne disegna uno col pennello (o un più prosaico pennarello) ed esprime un desiderio. Al realizzarsi di quest’ultimo, contraccambierà fornendo anche il secondo.
Nel vero Zen, quello che aiuta ad elevare la coscienza e avvicinarsi al Buddha, non c’è spazio per i desideri quotidiani della vita. Bisogna dimenticarsi della propria identità, come il gatto coi fiori sulla testa. Se tutto quello che cerchiamo è un buon voto a scuola o il posto fisso di lavoro, basta usare un pupazzetto. Uno che, possibilmente, sia destinato alla stereoscopia.