La strana torre costruita per agevolare il perfezionamento della relatività einsteniana

Qualsiasi torre costituisce, fondamentalmente, un tipo di edificio concepito per collegare la terra al cielo. In nessun caso tale descrizione può essere maggiormente calzante di quello della Einstenturm di Potsdam, costruita fondamentalmente attorno alle necessità logistiche di un apparato, che fu il progetto di uno tra i primi sostenitori del più grande fisico dell’era Contemporanea. La cui conformazione estetica concepita dal promettente architetto espressionista Mendelsohn, idealmente, avrebbe dovuto rappresentare una suggestione in essere degli aspetti mistici o evidenti interconnessi a tutto quello che sarebbe cambiato, da quel momento, per non poter mai più ritornare lo stesso. Fu dunque assai probabilmente demoralizzante, quando nel 1924 in seguito all’inaugurazione ed una visita guidata organizzata appositamente per il wunderkind della scienza tedesca nonché prestanome suo malgrado della torre facente parte dell’Istituto di Ricerca Leibniz, l’allora quarantacinquenne scienziato all’apice della carriera abbia famosamente reagito con freddezza definendola soltanto con un termine: “…Organica”. Forse le particolari e dirompenti scelte operate dal creatore non piacquero eccessivamente Albert Einstein, i cui gusti in campo architettonico parevano essere maggiormente conservativi. Lo stesso Erwin Finlay-Freundlich, committente dell’edificio, dovette in seguito ammettere il fallimento del suo progetto, quando si rese conto di come neanche il telescopio solare contenuto all’interno avrebbe potuto provare l’effetto batocromo di quei raggi, causa interferenze inerenti nella stessa atmosfera del pianeta terra. Il che si rivelò del resto meno importante, nel quadro generale delle cose, di quanto si potrebbe tendere pensare quando nove anni dopo, con l’ascesa al potere di Hitler sia l’architetto che entrambi gli scienziati dovettero affrettarsi a lasciare il paese, causa discendenza ebraica e nel caso di Freundlich, anche una moglie della stessa etnia. Un caso particolarmente drammatico di fuga dei cervelli (altamente motivato) ma che avrebbe lasciato indietro, per ovvie ragioni, il simbolo destinato ad ulteriore incomprensioni di quella collaborazione breve, ma oltremodo significativa nella storia dell’architettura europea. Questo perché Erich Mendelsohn, nei suoi oltre 10 anni di pratica prima di costruire la torre, aveva già elaborato uno stile altamente personale che sarebbe diventato uno dei pilastri fondamentali dell’Espressionismo architettonico, soluzione ibrida tra il razionalismo dominante nella propria epoca che non accantonava le pulsioni romantiche antecedenti, incorporando nella progettazione degli edifici elementi concepiti per rompere la convenzione, ed al tempo stesso emozionare in qualche modo gli osservatori. Così l’Einstenturm, che prima delle carenze di materiali causate dalle conseguenze della prima guerra mondiale avrebbe dovuto utilizzare soltanto l’innovativo materiale del cemento rinforzato, si presenta come un succedersi di forme geometricamente sorprendenti e interconnesse tra loro, come una sorta d’albero magico o quello che in molti hanno tentato di associare all’organo genitale maschile. Colpa, più che altro, della cupola emisferica di zinco sulla sommità, incorporata al fine di ospitare le delicate lenti dell’apparato di osservazione solare…

L’idea alla base del progetto, in linea di principio, era piuttosto buona: catturare la luce, fatta delle particelle fotoniche che lo stesso Einstein, nel suo annus mirabilis del 1905, aveva per primo individuato, all’interno di lenti e specchi fino alla strumentazione di studio nel seminterrato dell’edificio, al fine di rivelare la loro innata deviazione nello spettro sufficiente a confermare i calcoli del relativismo in modo totalmente prevedibile, perché come lui stesso disse in una celebre citazione “Dio non gioca a dadi”. Ma se ciò non poté realizzarsi a causa delle interferenze non previste da Freundlich, il rapido degrado dell’integrità strutturale della torre fu forse ancor più spiazzante per i suoi finanziatori, in buona parte dei semplici partecipanti alla colletta organizzata all’epoca tra la gente di Potsdam al fine di onorare il grande scienziato. Questo perché Mendelsohn, dovendo adattarsi dinamicamente alle carenze qualitative e quantitative del cemento di cui poté disporre, dovette eliminare progressivamente molti degli elementi maggiormente caratteristici dell’osservatorio, ricorrendo negli elementi portanti ad un uso di semplici mattoni ricoperti d’intonaco senza avere il tempo di considerarne le conseguenze. Tanto che già al trascorrere di soli 5 anni, la Einstenturm iniziò a mostrare vistose crepe e segni di degrado, cui lo stesso architetto dovette provvedere a prezzo di costo, dando inizio ad un iter di mantenimento relativamente dispendioso destinato ad estendersi fino ai nostri giorni. Non che durante il periodo dell’egemonia nazista, ne quello immediatamente successivo, la singolare creazione sarebbe stata destinata a grandi onori pubblici, essendo i cultori del grande führer convinti che l’Espressionismo, così come lo studio delle microparticelle, fossero immancabilmente espressioni di una “mente debole” possibilmente contaminata dalle manipolazioni dei perfidi nemici dello stato. Parzialmente abbandonata, la torre avrebbe poi riportato seri danni a causa di una bomba degli Alleati, non molto tempo dopo che gli studenti dell’istituto Leibniz si erano affrettati a nascondere il busto di Einstein originariamente esposto all’ingresso, affinché i nazisti non procedessero al suo necessario riciclo in un accesso d’irresponsabile iconoclastia. Soltanto dopo la deposizione del regime, e riguardando all’operato di coloro che avevano avanzato l’ideale della creatività umana negli anni iniziali del Novecento, si comprese l’importanza di architetti come Mendelsohn, che avevano saputo anticipare alcuni singoli elementi quasi anacronistici del post-modernismo che si sarebbe concretizzato nelle generazioni a venire. Conseguenza di un profilo creativo che poneva il funzionamento dello stesso cervello come strumento di percezione, al centro dell’armonia e della bellezza di ogni cosa creata dall’uomo.

Ancora oggi un istituto di ricerca operativo, utilizzato attivamente anche con scopi educativi dagli studenti universitari di Potsdam, la torre può essere visitata soltanto in determinati periodi, benché al suo interno sia presente anche un’esposizione permanente dedicata alla vita e le ricerche del giovane Einstein, prima che la mera necessità di sopravvivere lo portasse alla fuga da un’Europa ormai prossima allo stato di ebollizione. Più simile a un’astronave proiettata verso il nostro domani che ad un prodotto di stilemi architettonici dell’età ormai superiore ai 100 anni, essa parla di uno dei sentieri che avremmo potuto percorrere anni prima d’intaccare profondamente il numero di esseri umani destinati a vivere serenamente su questa Terra. Portando alla tragica realizzazione, tra le altre cose, di quelle stesse armi atomiche di cui Einstein aveva scritto al presidente F.D. Roosevelt sostenendo la necessità di renderle prioritarie, benché costituissero il più agghiacciante terrore al centro delle sue preoccupazioni per l’immediato futuro. Ma certi passaggi sono inevitabili, ancor prima che qualcuno possa giungere a considerarne le inevitabili conseguenze finali. E non tutto può essere semplicemente sistemato, mediante l’utilizzo di uno spesso strato d’intonaco color ocra.

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