Le austere vette di boscaglia, punte di bambù draconico nel verde Oriente

In un celebre racconto popolare vietnamita, parte del canone orale di quel popolo, tanto tempo fa un povero contadino veniva sfruttato dallo spregiudicato padrone dei suoi terreni. Oberato di lavoro, senza giorni di riposo sul calendario né tempo libero da dedicare alla preghiera, gli veniva ripetuto falsamente: “Fai il tuo dovere, produci il più possibile, ed un giorno ti ricompenserò permettendoti di sposare mia figlia.” Ma il momento non veniva mai e ad al raggiungimento della maggiore età da parte della fanciulla, per dar seguito al pretesto, il suo signore aggiunse: “Certo che è una valida promessa. Portami un fusto di bambù della lunghezza di 100 nodi, ed avvierò la preparazione per le nozze oggi stesso.” L’uomo, per sua natura ottimista, si avviò nella foresta ma ben presto si rese conto che la sua impresa era impossibile. Se non che proprio in quel mentre, gli capitò di scorgere la sagoma di un viandante dalla carnagione pallida ed i lobi delle orecchie particolarmente lunghe, che gli chiese perché fosse tanto triste. Raccontata la sua storia, il contadino si sentì rispondere: “Taglia subito 100 fusti di bambù e portali qui da me, ti mostrerò una cosa.” Ottenuto quanto aveva chiesto la figura peculiare, che costituiva segretamente una manifestazione terrestre del Buddha Gautama, pronunciò la formula “Khắc nhập, khắc nhập!” (Attaccati assieme!) ed in un baleno, ciò che era plurimo divenne tutt’uno. Dopo aver appreso come far staccare e ricollegare a comando i 100 pezzi bambù, il contadino li legò assieme e trasportò al cospetto del suo aguzzino. Quindi ripetuta la magica esortazione, fece comparire nuovamente il lungo tronco risolutore. “Cosa stai facendo, tutto ciò non è permesso! Si tratta di una soluzione innaturale!” Esclamò il padrone. Ma nel momento in cui tentò di scorporare l’immenso costrutto, il contadino ripetè le mistiche parole affinché toccasse anche a lui di restare attaccato. Al figlio ed ai servi che tentarono di salvarlo, capitò la stessa sorte. Il che mise immediatamente la tradizionale vittima di tante angherie in una posizione di forza, tale da poter chiedere di nuovo la mano della figlia. Che molto questa volta per davvero, gli fu finalmente promessa. “Khắc nhập, khắc xuất” (Staccati subito!) disse allora, e legni e moltitudini tornarono del tutto indipendenti. In questo saliente racconto ci sono due morali: la prima è che talvolta se non resta nessun tipo di risorsa, è giusto utilizzare poteri miracolosi per instradare il corso degli eventi sulla falsariga della probità morale. D’altra parte, ciò che appare massimamente improbabile può anche essere possibile, nello schema generale degli eventi concepibili, e dunque percepibili dall’incessante macchina dei sensi.
Ed il secondo è che nella foresta, per quanto si possa cercare, non esistono bambù della lunghezza di 100 nodi! Ma ve ne sono alcuni che possono andarci molto, molto vicini. Al punto da essere chiamati, in senso idiomatico e nel contesto culturale cinese, 龙竹 – Lóng zhú, bambù del drago. Pur essendo originari del subcontinente, dove in condizioni ideali possono raggiungere i 45 metri di altezza. Sbucando come lance dei giganti, da un sottobosco solido e compatto, per sfidare le regioni stesse dell’Empireo limpido e incombente. A perenne testimonianza di quanto possa essere superba, quando agisce nel proprio assoluto e selvatico interesse, la natura che è il motore stesso del nostro mondo…

Il Dendrocalamus giganteus dunque, come scelse di denominarlo in naturalista Munro durante la sua prima classificazione accademica all’inizio del XIX secolo, costituirebbe un tipico rappresentante del più diffuso genere di bambusoidi dell’ecozona tropicale asiatica, con principale provenienza individuabile nell’India centro-meridionale. Ma una distribuzione ormai da lunga data, probabilmente favorita anche dall’uomo, in paesi come il Myanmar, la Thailandia, la provincia cinese dello Yunnan. Ove cresce rapido in vaste foreste quasi esclusive, lungo il corso dei fiumi e fino a un’altitudine di 2.000 metri. Riconoscibile nella propria età giovanile dal possesso di una guaina cerosa di colore biancastro, formata dal germoglio violaceo e destinata a scomparire nel giro di qualche mese, il fusto piuttosto liscio e privo di segmentazione ineguale appare dunque fin da subito dotato di rami sottosviluppati e pochissime delle foglie dall’iconica forma lanceolata, quasi come se l’intera energia della pianta fosse già instradata nell’ispessimento ed allungamento progressivo del tronco centrale. I nodi sono privi di rigonfiamenti e la crescita risulta essere, nel suo contesto, assolutamente fulminea: fino a 40 cm al giorno con un diametro di 10-35 cm, al punto che non appare affatto irragionevole la possibilità di osservarlo allungarsi a vista d’occhio, se soltanto si dovesse scegliere di contemplarlo in modo continuativo per un periodo di un paio d’ore. La fioritura risulta essere, come nel caso delle altre piante di bambù, estremamente rara richiedendo un periodo medio di una cinquantina d’anni, il che lascia come tecnica di propagazione antropogenica economicamente praticabile soltanto il taglio e trapianto dei culmi, possibilmente di un’età minima di 2-3 anni. Il taglio con finalità edilizie o di utilizzo come materia prima avviene d’altra parte dopo il trascorrere di un tempo mediamente più lungo rispetto a qualsiasi altra pianta della stessa famiglia, quasi mai inferiore ai 4 anni, proprio per il caratteristico potenziale di crescita che caratterizza questa specie eccellente. Degna di nota, parimenti, risulta essere la natura commestibile soprattutto dei germogli di questo esponente vegetale della stirpe dei draghi. Raccolti in base a tempistiche tradizionale ed ammorbiditi all’interno di zuppe cotte sul fuoco, poco dopo essere stati tagliati a pezzi mediante l’uso di un coltello molto, molto affilato. Resta possibile anche l’impiego nella produzione di un tè caratteristico, molto popolare nel Sud della Cina, dove l’immagine bucolica di questa pianta è un simbolo culturale importante. Essendo essa anche il nutrimento, probabilmente più desiderabile e immediatamente affascinante, dal punto di vista dell’animale più beneamato del Regno di Mezzo, il panda gigante.

Ciclicamente messo in mostra nell’eterogeneo repertorio delle foto naturalistiche su Internet, spesso con figure di bambini o uomini adulti intenti a fare da riferimento proporzionale, il bambù gigante rappresenta una di quelle sottili differenze nella forma pratica e apprezzabile del regno vegetale, che tanto spesso i non iniziati tendono in modo inevitabile a trascurare. Quasi come se ciascun ascensore o flessuoso trampolino usato con il massimo equilibrio nei conflitti d’arti marziali del grande repertorio cinematografico d’Oriente, fosse inerentemente identico ed indistinguibile da qualsiasi altro. Ammesso e non concesso che qualcosa di tanto solido e massiccio possa pure, per quanto possibile, dimostrarsi incline a piegarsi. O spezzarsi. O essere affettato casualmente dal filo di spade taglienti. Piuttosto che spezzarne il filo, proprio come le scaglie draconico da cui ha ricevuto il proprio metaforico appellativo di riferimento.
Per la gloria imperitura dell’ultima divinità ancestrale di questo pianeta: l’ombroso e saggio bosco, scrigno dei segreti e degli antichi misteri della natura.

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