Morte, vita e metamorfosi del coleottero che crede nell’amore materno

Quando si tratta di scovare l’odore di una piccola carcassa, nessuno è più efficiente del Nicrophorus americanus, onorato rappresentante di una categoria d’insetti che gli antichi Egizi giudicavano connessa alla divinità suprema. Questo perché la versione americana dello scarabeo sacro, che avvicinava metaforicamente la palla di sterco al disco incandescente del sommo Ra, non ha particolari preferenze per le deiezioni di altri esseri biologici bensì l’intero corpo fisico lasciato indietro successivamente al trapasso: l’insensibile, inamovibile residuo degli animati uccelli, topi o altri mammiferi del sottobosco. Eppur mai inutili, anche dopo essere stati abbandonati dalla vivida scintilla dell’esistenza. Essendo un concentrato estremamente apprezzabile, per chi non è incline a formalizzarsi, di nutrienti calorie pronte ad essere fagocitate. Per se stessi e caso vuole, la nutrita, brulicante schiera della sua prole. Come ed ancor più di molti altri esponenti di quell’ordine, lo scarabeo “seppellitore” è infatti una creatura emimetabola ovvero adattata a condurre una prima fase della propria esistenza in forma sotterranea/ipogea, prima di affrontare una metamorfosi completa in grado di donargli tra le altre cose un efficiente paio di ali ed elitre capaci di proteggerle dagli urti accidentali. Ma è su come riesca a garantire, ogni volta, la riuscita di un processo tanto lungo e laborioso, che si basa il suo effettivo nome in termini di linguaggio comune, risalente all’epoca in cui era praticamente ovunque sulla Costa Occidentale e buona parte dell’entroterra statunitense. Nato dall’osservazione del momento in cui effettivamente trova la propria notevole fonte di sostentamento. Dando inizio, piuttosto che portando a conclusione l’opera che può costituire il solenne coronamento del suo stile di vita. Se c’è allora uno agente dell’ordine davvero efficiente, tra la schiera di creature non più lunghe di 45 mm, egli ne costituisce senza dubbio l’esempio maggiormente apprezzabile tra la sfera biologica corrente. Per il modo in cui, dopo aver chiamato sulla scena una degna partner riproduttiva mediante l’uso di specifici feromoni, la coppia inizierà sapientemente a muovere il defunto fondamento della propria nascente vita domestica. Fino al punto ove la terra sia abbastanza friabile, per mettersi a scavare e seppellirne le rigide membra: un’operazione ingegneristica, quest’ultima, tutt’altro che semplice per creature fino a 150 volte più piccole dell’eventuale ratto bersaglio di tali attenzioni. Le quali ben conoscono i vantaggi di rimuovere un tale tesoro dal ciclo attivo degli altri saprofagi o eventuali predatori di striscianti agenti della decomposizione. Nascondendolo dove nessuno, tranne loro stessi, potrà scegliere di agire indisturbato per le prossime settimane o mesi di febbrile attenzione…

Il nicroforo nella sua forma adulta, anche detto occasionalmente scarabeo sexton o “sacrestano” è dunque una creatura dall’aspetto altamente distintivo caratterizzata da colorazione aposematica arancione e nera. Questo nonostante l’assenza di particolari strategie difensive o sostanze chimiche per l’autodifesa, analogamente a quanto avviene per gli altri membri della famiglia dei Silphidae, associate dal punto di vista etimologico agli spirti della foresta teorizzati da Paracelso. Per l’iniziativa degli studiosi che nel XIX secolo, per primi, si avvicinarono alla classificazione in due generi distinti di questo cuneo evolutivo dedicato allo sfruttamento di un così specifico, nonché funzionale espediente. Il che fa di loro degli specialisti nella consumazione di carogne, benché molti potrebbero rimanere sorpresi dall’abilità che lo scarabeo dimostra anche nella caccia e fagocitazione di altri insetti vivi, grazie alle sue mandibole simili a una tenaglia seghettata capace di smembrare la preda di turno. In maniera ancora impraticabile per la forma larvale del tutto simile ad un verme bigattino di mosca, pallido e famelico, benché la storia della propria crescita risulti essere notevolmente diversa. Ciò in quanto il sexton è dotato di un istinto genitoriale estremamente raro nella classe degli insetti, per lo meno al di fuori della categoria degli imenotteri eusociali che custodiscono e proteggono i propri nuovi nati fino al raggiungimento di un ruolo utile nella conservazione della colonia. Laddove il nostro protagonista di oggi, successivamente alla deposizione delle uova nella carcassa da parte della femmina, non le abbandona bensì continua a proteggerle, arrivando a ricoprire il topo o uccello morto con una speciale secrezione antibatterica. E provvedendo a rimuovere (mangiandoli) eventuali altri mangiatori striscianti o zampettanti di ciò che un tempo costituiva a sua volta un membro operativo di questa Terra, per poi procedere a rigurgitare, successivamente alla schiusa, parte di quei nutrienti bocconi sulla schiera dei vermetti pallidi che ama sopra ogni altra cosa. Questo per un periodo di circa un mese e fino all’apice dell’estate, quando ormai trasformatisi in pupe quasi totalmente indipendenti, le forme giovanili dello scarabeo emergeranno con entusiasmo dal proprio appartamento peloso e ormai quasi del tutto consumato. Andando in cerca del pegno necessario al nuovo inizio del saliente ciclo, una mansione per la quale risultano perfettamente equipaggiati, vista la notevole abilità nel volo che li porta a percorrere anche una chilometro nel corso di una singola notte di accurata perlustrazione. Notevole anche la convivenza simbiotica con minuscoli acari del genere Poecilochirus, i quali trasportati a destinazione dello scarabeo provvederanno a loro volta a divorare le uova dei vermi pre-esistenti contenuti eventualmente nella carcassa. Spianando la strada ai nuovi venuti e i figli che si stanno premurando di mettere al mondo.

Trattandosi di creature da una storia della vita tanto specifica ed accuratamente pianificata, quasi costruita sulla base di un copione ben strutturato, i Nicrophorus costituiscono i bersagli tristemente esposti di qualsiasi variazione dei fattori ambientali vigenti. Tanto da essere andati incontro, nel corso delle ultime generazioni, ad una riduzione molto significativa della propria popolazione totale un tempo diffusa nell’intero continente nordamericano, in forza di numerosi indesiderabili eventi: l’aumento dell’uso dei pesticidi, con conseguente contaminazione delle carcasse, la diminuzione di quest’ultime per via della riduzione degli habitat non occupati dagli esseri bipedi e perciò ancora inerentemente adatti ad animali più imponenti di una formica, ape o vespa. Per non parlare dell’aumento di altre popolazioni d’invertebrati saprofagi come unici veri vincitori dell’Antropocene, concorrenti problematici qualora in grado di raggiungere un animaletto defunto prima della propria sepoltura per mano degli scarabei. Soprattutto se presenti in quantità tale da portarlo ad abbandonare una dimora possibile, per decollare alla ricerca non sempre garantita di un’altra. D’altra parte non è sempre possibile l’esecuzione senza falla di un piano ben collaudato. E certe volte un fato sconveniente, o la buona sorte di una terza parte, può portare chi ha prerogative esplicite a un fondamentale cambiamento di obiettivi. Dalla prosperità alla mera, e complicata sopravvivenza. In un ambito in cui l’uomo, anche volendo sfruttarne a oltranza l’utilità spesso evidenziata nelle serie TV nell’entomologia medico-criminale, al fine di determinare l’ora e data precisa di un decesso, potrebbe fare veramente molto poco per aiutarlo.

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