Disseminate in modo disordinato sulla costa dell’Otago, nell’Isola Sud della Nuova Zelanda, giacciono indisturbate da 56-66 milioni di anni alcune dozzine di sfere pietrose, dal diametro massimo di un paio di metri. Alcune perfettamente integre, altre spezzate per l’effetto della pioggia di millenni, il moto senza fine degli influssi d’erosione. Sono a tutti gli effetti, nell’aspetto e nella forma geometrica che le caratterizza, pressoché perfette. Eppure, contrariamente a quanto avviene con altre simili meraviglie della Terra, questi oggetti non riescono ad incutere un silenzio stupefatto, anzi! Chiunque le visiti, o semplicemente ne senta parlare, viene colpito come da un’ispirazione, che lo porta a parlare di teorie, per così dire, alquanto innovative: sono uova fossili, queste, di creature estinte da generazioni. No, si tratta chiaramente di astronavi. Sono le pecore (!) pietrificate (!) provenienti da una dimensione parallela. Ma forse la più poetica resta la spiegazione del popolo dei Māori, che in luoghi come questi ritrovò le basi per le sue credenze religiose: simili costrutti altro non sarebbero che i resti, pietrificati per volere degli dei, dell’antico naufragio della grande canoa Āraiteuru, condotta quasi fino a questa spiaggia dagli Ngāi Tahu provenienti dalla Polinesia, grazie all’affidabile vento del Nord Est. Lo scafo della quale, incagliatosi lungo gli scogli dell’odierno Shag Point, oggi costituisce il ciglio roccioso che precipita verso il rumore delle onde, mentre un vicino promontorio, chiaramente, rappresenta il corpo stesso del suo capitano. Così le sfere di Moeraki, queste rocce veramente fuori del comune, costituiscono le vestigia delle zucche e le patate trasportate dal natante, così fossilizzate e ridimensionate per motivi niente affatto chiari. Questi siamo noi. Uomini che costruiscono un qualcosa, di magnifico, davvero straordinario, poi lo guardano ed esclamano: “Niente di simile c’è stato prima a questo mondo.” Fate vedere una forma geometrica perfetta a uno sconosciuto, al 75% quello sarà pronto a giurare che sia stata fatta con la squadra ed il righello. Quando non c’è niente, in effetti, che costituisca un netto stacco concettuale fra la natura e noialtri, che a tutti gli effetti ne facciamo parte. Le spirali che compaiono nei gusci di conchiglia, i cubi dei cristalli di quarzite o altri minerali. Il cilindro di un stelo vegetale, il pentagono di un fiore o una stella marina. E poi, neanche a dirlo, c’è la sfera. Quale tipo di fraintendimento può portare noi, che viviamo su un pianeta dalla forma grossomodo circolare, a dire che quest’ultimo non può rifarsi uguale a dimensione di un ovino interstellare? Non c’è trucco, non c’è inganno, né cesello! Il mistero di Moeraki permane unicamente nella nostra mente.
Queste rocce in effetti, come le altre simili di altre parti del mondo (ad esempio le cannonball del Cannonball River in North Dakota) appartengono dal punto di vista nominale alla categoria geologica delle concrezioni, ovvero formazioni solide creatasi a partire dall’accumulo dei sedimenti. Le categorie più largamente note di questi agglomerati di minerali sono le stalattiti e stalagmiti, che si allungano nelle caverne per la solidificazione del carbonato di calcio, trasportato in superficie dai fenomeni chimici del carsismo; ciò detto, l’origine dei massi sferoidali è notevolmente differente, nonché largamente poco chiara. A quanto ne sappiamo, tutto ebbe inizio nell’Età del Paleocene, quando l’intera costa dell’Otago si trovava ancora a molte centinaia di metri sotto il livello del mare. A quei tempi, la morte giungeva in modo repentino e inaspettato, per tutte le timide creature che già si azzardavano a percorrere l’ambiente del pianeta: un’improvvisa eruzione, il rilascio di gas venefici, una nube di cenere eruttata a gran velocità! Così un pesce, un trilobite o altro essere, si ritrovava stecchito, a precipitare sul fondale. E il futuro fossile, a quel punto, diventava un notevole problema fuori dal contesto. Perché il fango e l’argilla di quei luoghi vi aderivano, e poi di nuovo contro quella stessa superficie, formando come un guscio sempre più solido, grande e impossibile da eliminare. Un vero e proprio intruso in mezzo agli strati geologici di tipo differente, spinto a rotolare innanzi dal moto ondoso. Esattamente come una palla di neve dei cartoni animati. Una perla. Oppure un calcolo biliare.
Ma il bello viene dopo. Perché a seguito di qualche milione di anni (se ne ipotizzano quattro o cinque) le pietre tonde così costituite sperimentavano una trasformazione chimica della struttura cristallina costituente, per cui il fango argilloso cementificato, venendo a contatto con infiltrazioni di calcite, diventava aragonite o semplice arenaria. Causando una riduzione significativa delle dimensioni del nucleo, con conseguente crepatura della superficie in una serie di diramazioni, che nei secoli si riempivano degli strati sedimentari di un’epoca, una solidità e un colore totalmente differente. Il risultato, spesso, appare straordinario.
Questi spazi vuoti, detti in terminologia latina septi (come il setto nasale) in effetti potrebbero avere origini di tipo differente. Ci sono numerose teorie: secondo alcuni deriverebbero dal degrado della materia organica all’interno della concrezione, che produrrebbe dei gas in grado di interferire con il processo geologico formativa; altri individuano la loro origine nei terremoti, facilmente in grado di spezzare in pochi attimi ciò che si era formato negli interminabili millenni. Non manca ovviamente chi, abbagliato dalle infiltrazioni di splendida pirite dorata o rosseggiante siderite, individuerebbe in tali anomalie la mano di qualche antica e perduta civiltà. La presenza di setti rastremati, in talune formazioni geologiche, hanno gettato dubbi tutt’ora latenti sulla loro origine, visto come sembrino alludere ad una formazione coeva della parte interna ed esterna del minerale, piuttosto che una più naturale crescita verso dall’interno verso l’esterno. Simili anomalie non hanno fatto che alimentare le teorie bizzarre provenienti dall’ambito della scienza alternativa e l’ufologia.
Tali linee di ragionamento, ad ogni modo, hanno sempre accompagnato il ritrovamento di qualsivoglia concrezione geologicamente analoga ai massi di Moeraki, specie quando straordinariamente regolare nella sua forma apparente:
Questa specie di noce è una sfera di Klerksdorp, un particolare tipo di roccia ritrovata in grande quantità tra la pirofillite delle miniere sudafricane della Wonderstone Ltd, presso la cittadina di Ottosdal. Questi oggetti, che variano normalmente tra gli 0,5 e i 10 cm, consistono in larga parte di ematite, wollastonite e goetite, una composizione che gli dona il caratteristico colore rosso-marrone. Possono avere diverse forme, tra cui quella di un disco piatto o un ovoide appiattito, in una fedele versione ridotta dei massi di Moeraki, oppure, talvolta, la forma quasi perfetta di una sfera, con un’apparente indentazione equatoriale, quasi ad alludere agli anelli di Saturno. È in effetti innegabile la somiglianza di simili pietre a una qualche sorta di manufatto, possibilmente i pezzi di un gioco, oppure un’implemento rituale di qualche tipologia particolarmente astrusa. Peccato però che queste pietre siano state trovate in uno strato sedimentario risalente ad oltre 3 miliardi di anni fa, risultando quindi approssimativamente contemporanee delle prime forme di vita sulla Terra. Ma difficilmente un protozoo avrebbe potuto scolpire qualcosa di simile, giusto? Tanto per cominciare, non aveva le mani…
Secondo gli studiosi Cairncross ed Heinrich (South African concretions of controversy – 2007) l’origine delle sfere sarebbe di natura vulcanica, dovuta alla formazione di noduli di wollastonite all’interno dei fluidi lavici ricchi di silice, che le avrebbero poi erose fino al raggiungimento della forma attuale. Le indentazioni della parte equatoriale della sfera, invece, deriverebbero dalla loro formazione all’interno di strati sedimentari a grana particolarmente fine, disposti in modo lamellare. In corrispondenza di queste sezioni del suolo, dunque, l’accumulo della concrezione sarebbe stato in qualche maniera inibito, dando origine alle caratteristiche scanalature. In ciò permane sempre un elemento di mistero. A queste sfere, grandemente ricercate dai collezionisti di minerali ma anche dagli amanti del sovrannaturale, viene attribuito un qualche potere mistico ed incomprensibile. Si credette ad esempio, per lungo tempo, che poste all’interno delle teche del museo della città di Ottosdal ruotassero spontaneamente su loro stesse, mostrandosi sempre in posizione differente. Questo finché non si scoprì come, in effetti, il fenomeno fosse dovuto alle vibrazioni della vicina miniera, che quotidianamente spostavano le pietre in modo impercettibile, benché cumulativo.
Pietre dalla formazione simile sono attestate in diverse altre regioni del mondo, ma soprattutto nel territorio degli odierni Stati Uniti, all’interno del quale, anticamente, venivano impiegate dai nativi all’interno di rituali sciamanici di vario tipo. Il che si può anche comprendere, considerato l’aspetto inusuale di oggetti come questi:
Pop rocks del Kansas, biglie di Moqui, teiere dell’Ontario, dischi fatati di Stenso, in Svezia. Le concrezioni vengono spesso definite in modo informale come degli oggetti OoP (Out of Place) ovvero fuori posto, la cui genesi non appare immediatamente comprensibile all’uomo della strada. Ciò, oltre a generare degli ottimi introiti dalle visite di chi non può fare a meno di vederle con i propri occhi, è la fonte d’innumerevoli elucubrazioni, disquisizioni filosofiche e l’integrazione sincretistica di branche dello scibile del tutto differenti tra di loro. Negli Stati Uniti, in modo particolare, pietre come queste sono spesso esposte nei musei della cosiddetta scienza creazionista, ovvero il complesso impianto di presunte prove, più o meno credibili, secondo cui la Terra non avrebbe più di 6.000-10.000 anni, i dinosauri sarebbero vissuti assieme agli uomini e soltanto il diluvio universale li avrebbe spazzati via, per volere della Santa Provvidenza. Simili pietre geometricamente accattivanti, dunque, diventerebbero la prova innegabile dell’esistenza di una mano divina, in grado di donare un senso addirittura ad oggetti tanto inanimati, del tutto simili a reliquie planetarie.
L’origine di simili credenze, in fondo, è essa stessa pienamente naturale. Così come fecero i Māori con le loro rocce costiere, dobbiamo in qualche maniera individuare la collocazione di queste misteriose uova di drago nella linea temporale dell’Esistenza, nel modo più chiaro e impossibile da smentire. E non c’è nulla, a questo mondo, di più inconfutabile che un puro e sincero atto di fede. Non tutti mantengono, all’interno della propria scala di valori, lo spazio per quella fondamentale triade di parole: “Non-lo-so.”