“Da quassù sembrano formiche” potrebbe facilmente costituire, a ben pensarci, la più moderna e avveniristica frase nel repertorio metaforico dei tempi odierni. Perché non c’è nulla di più innaturale, inaspettato, fuori luogo, che l’esperienza di un essere umano temporaneamente scollegato dalla terra sulla quale ha costruito la sua considerevole fortuna. Nulla resta veramente fermo, tranne ciò che ha solide basi e fondamenta; ma ciò che maggiormente cambia, sulla base dei punti di vista, sono le impressioni tratte da chi visita quei luoghi, allontanandosi dai solidi crismi della convenzione. E allora cosa sembrano, quei due? Rondini, astronavi, supermen… Yves Rossy e il suo allievo e discepolo Vince Reffet, gli uomini dei razzi ad ala fissa, spinti fortemente avanti dall’incedere di quelli che potrebbero costituire, a conti fatti, i più piccoli quadrimotori a reazione della storia. Qui sfruttati per conoscere, in un modo totalmente nuovo, le Isole artificiali delle Palme, il Burj Al Arab ovvero l’aerodinamico hotel a forma di vela, oppure perché no, i 392 metri del 23 Marina, seguiti dai 414 della Princess Tower (secondo edificio più alto di quella città) finché nel culmine di un pregno volo, con il carburante ormai agli sgoccioli, non si raggiunga l’ombra nera del Khalifa, l’enorme, pantagruelico e quasi chilometrico edificio, eppure stretto ed aggraziato, persino dall’alto in basso. Per porsi la domanda che nessuno, fino a pochi giorni fa, avrebbe mai pensato concepibile in tali termini sopra le nubi: “Destra o sinistra?” La mano regola delicatamente i controlli della potenza, mentre le spalle prendono l’inclinazione scelta. L’uomo uccello e suo fratello, non biologico s’intende, si lasciano alle spalle addirittura quell’ostacolo, a circa 250, 300 Km/h di velocità.
È uno sfrenato sogno che si realizza, ancora e poi di nuovo, per ciascuna delle volte in cui il cinquantaseienne svizzero Rossy, con dietro una significativa carriera da pilota militare e poi civile, indossa sulle spalle la sua celebre invenzione, l’ala in fibra di carbonio dal peso non trascurabile di 55 chili. La quale non ha veramente un nome, come qualsiasi altro tipo d’aeromobile, perché ha sostanzialmente l’obiettivo di sparire, via dagli occhi e dalla mente, trasformandosi nell’estensione naturale del pilota stesso. Lui ne parlava qualche anno fa, durante la sua conferenza per l’organizzazione nonprofit TED. Del modo in cui, da principio, amasse fare paracadutismo e avesse cercato d’ingegnerizzare un modo per estendere quell’esperienza. Renderla più estesa nel tempo, come prima cosa, ma sopratutto liberarla nella scelta di un vettore, non più soltanto gravitazionale (verso il basso, sempre più giù) ma in ogni possibile direzione dello spazio blu cobalto, sulla base del bisogno o il vezzo del momento. Giungendo poi al punto di svolta, attorno ai primi anni del 2000 quando, grazie ad alcune significative sponsorizzazioni, non gli riuscì di dare forma materiale ai suoi disegni. Si stima che l’investimento iniziale per la realizzazione del prototipo si sia aggirato sui 170.000 euro, investiti con un obiettivo ben preciso: far debuttare lui, l’avventuriero cosmico per eccellenza, in occasione della 35° Fiera delle Invenzioni di Ginevra, nel 2008. E quale senso di assoluta meraviglia, seppe ispirare nella stampa internazionale col suo primo volo pubblico, risalente al 14 maggio di quell’anno: Rossy lasciò l’aeroplano da turismo Pilatus Porter con un sicuro balzo, all’altitudine di 2300 metri, mentre già accendeva i suoi quattro motori a razzo, adattati per lo scopo a partire da un modello pensato per grandi aeroplani radiocomandati. Con la sua tuta speciale a proteggerlo dal calore considerevole, ha poi puntato dritto verso la valle del Rhone, effettuando due giri della morte, presto conclusi a un’altitudine di 790 metri. Quindi ha aperto il suo paracadute, atterrando sulle sponde del lago Lemàno, circa 15 minuti dopo l’attimo in cui i suoi piedi si sono staccati dalla fusoliera del velivolo di partenza. Da allora, lo svizzero ha effettuato più di 30 voli in alcune delle località più scenografiche del mondo: il Grand Canyon, le bianche scogliere di Dover (nel 2008 attraversò il Canale) e il monte Fuji in Giappone, attorno al quale girò per ben nove volte in 10 minuti…Migliorando progressivamente la sua ala, fino al raggiungimento di uno stato d’efficienza molto superiore. In questo, indubbiamente, l’ha aiutato l’incedere del progresso tecnologico. Ma oggi, se si trova lì, è soprattutto merito suo. Di nuovo in volo, ancora una volta con la significativa scia d’aria lanciata alle sue spalle in mezzo ad alcuni dei punti di riferimento del senso comune, e questa volta con un considerevole secondo: quel Reffet del Team Redbull, esperto utilizzatore della tuta alare e già campione di diversi tornei internazionali di BASE jumping. Trent’anni di età, in un’intera vita al servizio di quello che potrebbe definirsi uno degli sport del mondo del possibile, eppure nient’altro che un allievo, in simili condizioni ANCORA più estreme, PERSINO più ardue e fuori dal normale.
Se c’è un singolo dato degno di nota nel comprendere il significato del jetpack di Rossy, questo è certamente il seguente: nell’intero dispositivo non è stata inclusa alcuna superficie di controllo. Niente alettoni, flap o ipersostentatori. Neanche l’ombra di una coda mobile, per curvare. Soltanto le alette d’estremità che aiutano a mantenersi stabili, abbinate ad un sistema di estensione dell’intero apparato, che si attiva una volta lasciata la cabina di partenza. Questa scelta di partire in quota, naturalmente, ha lo scopo di aumentare la sicurezza dell’impresa. Visto il singolare metodo di controllo impiegato, infatti, potrebbe bastare un attimo di distrazione per entrare in una vite irrecuperabile, con potenziali conseguenze disastrose. Non che l’inventore spericolato, proveniente da un background professionale votato alla sicurezza ed alle procedure, sia del tutto impreparato addirittura a questa evenienza: l’ala è infatti dotata di un sistema di sgancio rapido, che può permettere al pilota-passeggero di separarsi in eventuali casi limite e procedere verso terra con il suo paracadute. Il meccanismo è stato utilizzato soltanto una volta, in occasione dell’impresa tentata nel 2009: l’attraversamento del canale di Gibilterra, concepito per trasformarlo nel primo individuo in grado di volare con un jetpack tra due continenti. In quell’occasione, Rossy spiccò il suo balzo da 1950 metri sopra Tangeri, in Marocco, con l’obiettivo di raggiungere nel giro di un quarto d’ora circa le coste spagnole di Atlanterra. Successe tuttavia che l’improvvisa comparsa di fitte nubi, con conseguente perdita di visibilità, nonché venti notevoli di traverso, lo portarono inevitabilmente all’ardua decisione di annullare la missione. Lui e l’ala, anch’essa dotata di paracadute e un sistema di galleggiamento, furono quindi recuperati, rispettivamente, dall’elicottero di supporto all’operazione e dalla guardia costiera spagnola. Fortunatamente non ci furono gravi conseguenze tranne (forse) nell’orgoglio, e non bastò certo questo a spegnere l’entusiasmo di un simile personaggio per il volo. Così lo ritroviamo, il 5 Novembre del 2010, mentre testa per la prima volta una versione migliorata del suo zaino a razzo, partendo da una mongolfiera sospesa a 2400 metri sopra le campagne di Bercher, presso il cantone svizzero di Vaud. Già allora, teso nel pianificare le future scorribande…
Tra le imprese più problematiche del Jetman svizzero, il suo volo del 2011 sopra il Grand Canyon americano, un obiettivo a cui aveva fatto riferimento in molte delle sue comparse in pubblico precedenti. Evento a cui nessuno ebbe la fortuna di assistere, poiché l’autorità per il volo americana (la FAA) aveva classificato la sua ala come un aeromobile a motore, riducendo all’ultimo momento le ore a disposizione del team di Rossy, da 40 a 20 solamente. Così il suo lancio fu anticipato di un giorno, al 7 Maggio, nella totale assenza del suo pubblico di appassionati. Nonostante questo, il video dell’impresa è ad oggi parte dell’inesauribile catalogo di YouTube, esemplificando, ancora una volta, come ben poco possa l’incasellamento delle convezioni sulle imprese di chi ha molto da dire, fare o dimostrare.
Oggi, acquisito uno status d’invidiabile fama internazionale, Rossy e la sua squadra dispongono di una base in Spagna, presso l’aeroporto privato di Empuriabrava, dal quale sperimentano le ultime innovazioni nel campo della miniaturizzazione dei motori e l’ottimizzazione aerodinamica a misura d’uomo. Tra i sogni futuri del pilota ed inventore, fedelmente affiancato dal suo nuovo wingman Reffet, l’acquisizione di una sicurezza di controllo tale da poter partire da una postazione fissa ed elevata, invece che un aereo sospeso nel vuoto, e un giorno decollare in verticale da terra, esattamente come dimostrato al cinema dall’armatura di Iron Man. Un’impresa, spiegava nella sua conferenza effettuata per TED, tutt’altro che impossibile allo stato attuale delle cose. Soltanto molto, molto pericolosa.
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