Chi può dire quale sia lo stato originale delle cose? Riportare le opere d’arte al culmine della loro estetica apparenza, delle volte, può nascondere sorprese. Come quello che si stava profilando innanzi alla giovane Shan Kuang, restauratrice del museo Fitzwilliam laureata presso l’università di Cambridge, verso l’inizio del corrente giugno. Gratta, strofina e pulisci, togli la patina di protettivo trasparente (che bel mestiere) quando ad un certo punto, sulla scena di una spiaggia stranamente affollata, comparve la misteriosa vela. Una scura forma posta troppo in alto, nella costruzione prospettica della scena, per essere la mera parte superiore di un’imbarcazione d’epoca. Che le acque agitate presso la città dell’Aia, in Olanda, siano particolarmente care a chi pratica sport come il wind surfing o il kiteboarding, d’accordo, è cosa nota. Ma trovare simili testimonianze in un dipinto del 1630, opera dell’artista specializzato in soggetti marittimi Hendrick van Anthonissen, sarebbe stato il più improbabile degli anacronismi. Volendo porre fine quanto prima alle speculazioni, dunque, la ragazza prese nuovamente in mano gli strumenti. Lavorando attorno a quella macchia, rimuovendo uno per uno gli strati aggiunti successivamente, giunse quindi innanzi all’incredibile realtà. C’era stata un tempo una balena morta, che languiva sopra quelle chiare sabbie. E c’era ancora, scura e marcescente, nel dipinto su cui stava lavorando.
Il miraggio provenuto dal profondo, un essere così imponente da sfidare l’immaginazione. Nel XVII secolo, quando ancora certi stravaganti marinai parlavano nelle osterie di serpi gigantesche, piovre titaniche & altre terribili creature degli abissi, la vista di una creatura come questa era qualcosa di tremendamente memorabile; l’esperienza di una vita. I passeggeri in viaggio sugli eleganti velieri di quell’epoca, lungo le acque del canale, verso l’Africa e l’Oriente, riconoscevano quel segno da lontano. Di una pinna, di uno sbuffo plutonico di fluido trasparente: il soffio della bestia che la bibbia definiva Leviatano. Un mostro incomprensibile, portentoso e sibillino. Perché non conosceva neanche il più naturale degli istinti, la propria stessa autoconservazione.
E chi nel pieno della propria gioventù, recatosi presso le spiagge dell’Olanda passeggiare, avesse visto la carcassa di un tale gigante di Nettuno ormai proceduto oltre, avrebbe scelto il modo di trasmettere quell’esperienza. Con la penna, con la stampa o col pennello. C’erano molti modi. Quasi tanti, quanto adesso.
Una volta a terra, è la fine. Esistono molte teorie sulle possibili cause dello spiaggiamento dei cetacei. Un errore di navigazione da parte dell’animale. Il progressivo spostarsi dei molluschi teleucidi e le altre prede di talune specie verso le acque basse, a causa dei recenti mutamenti climatici del pianeta. Un aspetto particolarmente triste del fenomeno è il modo in cui un intero branco, talvolta nel tentativo di aiutare un singolo esemplare, possa automaticamente condannarsi alla sua stessa fine. Quasi nessuna specie è esente: si hanno resoconti di spiaggiamenti relativi agli odontoceti, ai capodogli, ai globicefali, alle orche, agli zifidi e ai delfinidi. E, benché più raramente, anche la maestosa balenottera azzurra, l’essere vivente più grande del pianeta, qualche volta sceglie questa fine ingrata. Non si sa perché.
Secondo alcuni studiosi, i sostenitori del geologo e teorico parascientifico Jim Berkland, a spingere le balene verso le coste sarebbero delle impercettibili variazioni nel campo magnetico della ionosfera, che un giorno si dimostreranno utili per di prevedere i terremoti. Poco importava, di simili facezie, ai tempi del pittore marittimo Hendrick van Anthonissen. Ciò che contava era l’alta pinna, il nero ventre, l’occhio vitreo e il suo riflesso delle mistiche profondità. Una suggestione visuale travolgente.
Ma i gusti cambiano sul volgere dei mesi. La moda è volubile, la mente bramosa di continue novità. Nell’epoca d’oro della pittura olandese, a cavallo tra il XVI e XVII secolo, c’era un gusto travolgente di rottura col passato. Rembrandt Harmenszoon van Rijn, Delft Johannes Vermeer, Jacob van Ruisdael, Frans Hals, sapevano reinterpretare i canoni espressivi degli antichi per il tramite di quell’orecchino luminoso, simile ad un prisma perlaceo. La luce, proveniente dalle nuove immagini del mondo, ne scaturiva trasformata. Sette colori di un arcobaleno fatto di accecanti possibilità. Tolto l’arco, restava la balena, un semplice…Evento….fuori dal comune, del distretto di Scheveningen, nella parte settentrionale dell’Aia. Che noia, rispetto a simili maestri del futuro fotografico del mondo! Molto meglio riprendere uno stiléma espressivo meno provinciale: la spiaggia. Come quella, qui presente, del collega successivo Adriaen van de Velde.
L’altro problema del dipinto restaurato al Fitzwilliam, ricevuto in dono dal museo per volere del benefattore Richard Kerrich, è che il pittore ci sapeva fare. Pure troppo. Le leggere increspature dell’acqua, la spiaggia digradante, la gestualità delle figure umane in lontananza. E soprattutto il vasto cielo azzurro, con le nubi grandi e vaporose. Sembra quasi di sentire l’insinuate strascichio della risacca. Troppo realismo, per un simile soggetto! Avete voi presente, nella realtà dei fatti, l’aspetto che ha un cetaceo morto sulla spiaggia? La sua fragranza esasperante, l’iperbolico abominio della morte di una bestia enorme…Ecco. Con gli anni, simili dettagli spariscono dalla memoria, resta solo il senso della prima meraviglia. Lo stupore, senza più l’odore; purché non ci si metta lo zampino dell’artista.
Oggi è molto facile capirlo. L’abbiamo un po’ trattenuto tutti quanti, questo nostro fiato, in occasione della situazione orribile di inizio maggio, quando una balaenoptera musculus Linnaeus, l’Azzurra di cui prima, comparve d’improvviso tra le rocce frastagliate di Trout River, nel Newfoundland canadese. Mentre i telegiornali mostravano la sua massa globulare in decomposizione, più simile, nei fatti, oramai, ad un’enfia palla zigrinata. “Sta per esplodere!” Gridavano gli allarmisti, mentre la piccola comunità locale, di un centinaio di persone o giù di lì, pensava freneticamente al modo di portare via una bestia morta lunga 25 metri. In un caso precedente, la comunità del capo di Saint George, circa 200 Km più a sud, aveva tentato di vendere una carcassa virtualmente indistinguible su eBay. Senza alcun successo, chissà poi perché. Si hanno, del resto, notizie di simili mammiferi marini dalle esalazioni ormai mefitiche, caricati sopra un camion, che per le sollecitazioni della strada sono esplosi fra le case di una povera città. Non si scherza con vestigia come queste.
Fortunatamente, gli abitanti di Trout River, dopo tre settimane di sopportazione, hanno potuto contare sull’aiuto di professionisti: lo stesso Dipartimento canadese degli Oceani e della Pesca (DFO) che dopo aver fatto legare la balena con potenti cinghie, l’ha trascinata via mare fino a Woody Point, dove l’hanno macellata in pezzi molto più facili da piazzare sul mercato. Pare che il museo dell’Ontario, molto presto, esporrà le sue maestose ossa. Per continuare a farci vivere, con gli occhi della mente, l’esperienza splendida della balena morta.